Film Maresco, La mafia non è più quella di una volta «Rimane la mentalità, molto più difficile da estirpare»

 «Il mio lavoro rimane per scelta marginale e periferico, non dentro il sistema». Franco Maresco parla di sé senza accenti ipertrofici. A 60 anni il regista palermitano – divenuto famoso per le opere insieme all’ex sodale Daniele Ciprì in quella che è entrata alla storia come la Cinico Tv, e che poi ha proseguito in maniera indefessa il proprio lavoro – non dovrebbe aver bisogno di bussare alla porta di possibili finanziatori. Invece il suo ultimo film, La mafia non è più quella di una volta, resta inviso ai dirigenti di Rai3, proprio la rete che negli anni ’90 si caratterizzò per il coraggio con cui diede la prima serata ai famosi freaks delle periferie, abitative ed esistenziali, di Palermo.

Lo ha raccontato, lo scorso 25 aprile, lo scrittore palermitano Fulvio Abbate. Nulla di nuovo però, per Maresco, che già simili difficoltà le aveva riscontrate nel 2014 per il precedente Belluscone: uno straordinario racconto del successo dell’ex premier e fondatore di Forza Italia in Sicilia, in quello che era anche un viaggio all’interno del sottobosco neomelodico palermitano. Il film attuale dovrebbe essere chiuso a settembre. 

«Speriamo di farcela per candidarlo alla mostra del cinema di Venezia – spiega Maresco -. Questa volta non si tratta di un film su Berlusconi. Certo, c’è di nuovo la presenza di Ciccio Mira (l’impresario palermitano dei cantanti neomelodici che è stato arrestato recentemente per complicità mafiose …ndr), è una sorta di ripresa di certe atmosfere siciliane e palermitane. È un film dove per altro c’è la presenza abbastanza pregnante di Letizia Battaglia, un lavoro che è ancora una volta un viaggio dentro la mafia e l’antimafia: riguarda questa città e quello che sta diventando, certamente altro rispetto al suo passato».

Una Palermo nuova, capitale della cultura, meta di imponenti flussi turistici e che prova a riqualificare quartieri storici come Ballarò e la Vucciria: è questo «quell’altro» a cui fa riferimento Maresco? Ed è vero, come sostiene da tempo il sindaco Orlando, che «la mafia non governa più la città»?. «La mafia sconfitta? Non ne sarei così sicuro, rimangono a Palermo e nel resto d’italia una mentalità mafiosa. Rimangono forme di potere corrotto e che in certe forme e metodi riflettono una mentalità mafiosa. Forse la mafia è in difficoltà dal punto di vista militare, non è certamente protagonista come nel dopoguerra, ma è chiaro che la mafia continua ad avere interessi e ad adattarsi. Se uno si aspetta una mafia alla Riina si sbaglia, ormai è infiltrata nei meccanismi finanziari. Dal punto di vista nostro rimane l’humus. E questo sarà molto più difficile da estirpare». 

E intanto, in mezzo alle riprese del film che la squadra di Maresco vorrebbe chiudere entro giugno per poi dedicarsi alla fase del montaggio, è arrivata la sentenza sul processo di primo grado per la trattativa tra Stato e mafia. Pensando allo spezzone di Belluscone con l’intervista a metà a Marcello Dell’Utri (condannato da quella sentenza a 12 anni), l’attesa per La mafia non è più quella di una volta cresce ulteriormente. 

«È la prova che tutto quello che si è pensato nei decenni era fondato – afferma il regista -. Definita una sentenza storica ed epocale, e devo dire che questa volta lo è, rimane il fatto che è come se non fosse successo nulla. Non ne rimane traccia nella vita politica, nè la stampa in gran parte ha sviluppato un discorso ampio sul tema, fagocitata com’è dal susseguirsi ipervertiginoso degli eventi nell’era digitale. Da un lato è responsabilità degli italiani, non solo dei politici, se un determinato fatto viene assimilato in questo modo. Tutto diventa spettacolo, tutto si frammenta, tutto diventa opinione, diventa una sorte di esplosione che muore nella più felice delle ipotesi in 48 ore. Ha ragione anche Ingroia quando rimane colpito dal fatto che il presidente della Repubblica non abbia detto una parola, e dire che il presidente fu colpito nella vita familiare e affettiva dalla mafia». 

Maresco, almeno in città e per gli addetti ai lavori, è noto per essere un personaggio burbero, difficile. Eppure ciò non assottiglia la sua volontà di regalare importanti esperienze culturali a Palermo. Negli ultimi tempi ciò avviene con l’associazione Lumpen, che sta provando a rilanciare il cinema De Seta all’interno dei Cantieri Culturali alla Zisa. Come va quell’esperienza? «Noi proseguiamo la programmazione, con cose molto interessanti. Ad esempio chiuderemo la stagione, grazie al lavoro di restauro della cineteca di Bologna, con Io e Annie di Woody Allen. Ma lavoriamo anche con altre realtà, abbiamo riproposto sempre in occasioni di anniversari film straordinari sul jazz. Dal punto di vista delle proposte Lumpen continua a volare in alto. Altra cosa è riflettere sullo stato di salute del De Seta».

Qui il tono di voce di Maresco si fa più amaro. «Ci si aspettava che nell’anno della Capitale della cultura ci fosse l’occasione buona per il colpo d’ala, per portare questa struttura importante dove merita. Il cinema non ha potuto beneficiare invece di interventi risolutivi, solo piccoli piccoli gesti qui e là. Visto che siamo arrivati a maggio, mi sembra che quello che potrebbe essere il cinema comunale sia rimasto indietro. I tempi cambiano e servono una serie di interventi, come il ripristino del proiettore 35 millimetri. Orlando non può ignorare che c’è una parte di città che non è all’altezza della definizione di capitale della cultura, ammesso che le definizioni valgano qualcosa. O lo si è concretamente e si dovrebbe tendere verso l’eccellenza. Il cinema De Seta rimane un’occasione non colta. Se non ora quando?».

Il De Seta poi negli anni ha sviluppato un’offerta culturale veramente interessante, ma spiace vedere che non ci sia ogni volta il tutto esaurito. Nonostante prezzi ridotti e accessibili, nonostante in teoria sia supportato dalla scena cittadina. Tutto sembra ridursi al centro storico, insomma. È così? «Non so se sia questo il motivo, di certo c’è anche un pubblico in cui non si sente scorrere il fremito e il supporto, il pubblico tende a essere assoggettato dalla moda e dalle scelte del momento. Non sempre hai l’attenzione che fa la differenza». 

Andrea Turco

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