Salvatore Lupo è stato invitato nell’aula magna dell’Università a presentare il suo ultimo lavoro dal titolo “Che cosa è la mafia“. Ne hanno discusso con lui, nell’incontro che si è tenuto mercoledì 31 ottobre promosso dai Circuiti Culturali dell’Ateneo e dall’Istituto siciliano per la storia dell’Italia Contemporanea (Istico), Rosario Mangiameli (docente della Facoltà di Scienze politiche di Catania), Ivan Lo Bello (presidente Confindustria Sicilia), Claudio Fava (parlamentare europeo). Ha coordinato gli interventi il professore Luciano Granozzi, docente nella Facolta di Lingue e letterature straniere e delegato ai Circuiti culturali.
La discussione sostanziale della serata ha reso la problematicità delle parole con cui Lupo ha cominciato questo suo lavoro: “Se è vero che solo la mafia rende visibile l’antimafia, è vero che per capire le emergenze della seconda non possiamo prescindere dallo studio della prima, abbandonando la tesi che la nostra materia equivalga ad un conflitto tra il bene e il male“.
Presentando i saggi del libro di Lupo, Mangiameli ha spiegato al pubblico i termini ermeneutici della questione. Lo storico dell’Università di Palermo ha voluto rileggere la mafia scegliendo le vicende del processo a Giulio Andreotti e la polemica tra Leonardo Sciascia e i cosiddetti “professionisti dell’antimafia” come due lenti che permetterebbero di cogliere la circolarità tra mafia e politica.
Lupo rilegge gli atti del processo all’ex presidente del Consiglio e senatore a vita e scrive, per porre una riflessione sistemica sulla mafia e la società siciliana e italiana, sulla costruzione di una catena dei consensi, sui diversi strati della fenomenologia mafiosa; ma anche sui diversi termini e sulle differenti prospettive dell’antimafia: la questione della giustizia e della legalità, la società civile e le risposte storiche dell’antimafia.
A partire dalle diverse interpretazioni, vengono poste e riproposte alcune questioni: la vecchia e la nuova mafia, la mafia del latifondo e quella del narcotraffico, la modernizzazione della mafia, e la lettura dell’oggetto “mafia” nel dibattito italiano a partire dalla rappresentazione che Sciascia ne ha dato nei suoi scritti e dagli elementi che fanno sorgere la questione della lotta alla mafia sin dagli inizi del novecento. Tutto questo per dare strumenti di lettura alle stesse domande che l’autore affronta nei suoi scritti: Quale codifica della mafia moderna? Quale movimento antimafia conseguente? Quale lotta alla mafia? Quali metodi?
Per questo viene ripercorsa la polemica tra Sciascia con i “professionisti dell’antimafia“, il presunto contrasto con Falcone: si tratta di rivivere quegli anni a partire dalla comparazione tra lotta alla mafia e lotta al terrorismo, si tratta di ritrovare non solo radici ideologiche delle ragioni di Sciascia ma anche di guardare a chi lo scrittore racalmutese si rivolgeva, da quali ragioni era condizionato il suo giudizio. Dice Lupo che quando il volume “Che cosa è la mafia?” è stato dato alle stampe, per i tipi Donzelli, ed è uscito, solo allora ha pensato che avrebbe potuto anche intitolarlo “Il fantasma di Mori“, perchè uno dei modelli di riferimento alla lotta alla mafia ha a che fare con i processi ad essa intentati nel periodo fascista.
Il linguaggio con cui scrive e pone in termini la questione – fa notare Mangiameli – è innovativo rispetto ad altri saggi. Ma Lupo spiega al suo pubblico le antiche ragioni di questo metodo storico critico che ci viene restituito dal detto crociano che “la storia non istituisce tribunali e non da sentenze“. Precisa Lupo: “Noi non vogliamo assolvere o condannare nessuno. Vogliamo raccontare, a partire da fonti, cioè da documenti, che anche essi non sono certi e oggettivi, cercando di raccontare i diversi punti di vista, anche quelli che non sono i nostri“.
“Non abbiamo una pretesa oggettiva – ha aggiunto -, ma la nostra ricerca è fondata sul dialogo sincero con le fonti, con i testi che ci sono rimasti, per cogliere come i soggetti pensano se stessi e come dialogano con ciò che è esterno a loro. Il problema della mafia sta infatti nel cogliere come la mafia dal suo interno si rapporta con ciò che percepisce come esterno al suo sistema, e come in termini dinamici e storici sia avvenuta questa dialettica: una disamina di ciò che cambia nella sostanza del male mafioso e cioè che invece è rimasto fermo, a partire dall’arcaicità del linguaggio, dei segni e dei gesti dei mafiosi“.
“La mafia – ha sottolineato infine lo stesso Lupo -, ha sempre promesso protezione dai mali che essa stessa ha creato. Ma è soprattutto un metodo che ricorre all’estorsione del consenso, è al tempo stesso mantenimento dell’ordine sociale, morale, sessuale, religioso, politico. E’ tutela di un sistema, di un modello di società tradizionale, anche quando cambiano i termini storici, quelli del contesto esterno ad essa“. “La mafia è sempre moderna – ha concluso -, perché si serve degli strumenti della modernità, perché offre a questa modernità uno schema primitivo, arcaico, ordinato, convenzionale, e costringe la gente ad allontanarsi dalla consapevolezza degli stessi processi storici”.
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