La mafia che arranca nella relazione della Dia «Da Palermo cocaina e cannabis per la Sicilia»

«Negli ultimi anni, la provincia di Palermo ha fatto registrare una decisa crescita del settore turistico e questo nonostante la perdurante fase di stagnazione produttiva e la costante pressione della criminalità organizzata, che in tutta la Sicilia occidentale resta strutturata in senso fortemente territorializzato». Comincia con un’inedita osservazione sulla situazione economica attorno al capoluogo siciliano la relazione semestrale che la Direzione investigativa antimafia ha inoltrato al Parlamento in merito alle attività svolte e ai risultati conseguiti nell’arco temporale che va da luglio a dicembre 2018. Alla provincia di Palermo la Dia dedica 10 pagine, partendo dunque proprio da un rapido focus generale che però poi subito si collega alla presenza mafiosa nel territorio. «Se si aggiunge – continuano gli investigatori DIA – che lo storico stabilimento della Fincantieri, presente fin dai primi anni ’80 del secolo scorso ubicato presso la sede degli ex Cantieri Navali, rappresenta una realtà attuale, dinamica e vivace nel panorama della trasformazione e riparazione navale, si potrebbero scorgere promettenti segnali di rilancio se le attività di indagine non rilevassero, anche per il semestre in esame, la forte pressione da parte dei sodalizi mafiosi sulle iniziative imprenditoriali, comprese quelle di piccole dimensioni o a conduzione familiare».

Nonostante le intense attività repressive da parte delle forze dell’ordine – sia sotto l’arresto dei vertici che delle numerose confische di patrimoni – l’articolazione territoriale di Cosa nostra resta dunque «strutturata su 15 mandamenti (8 in città e 7 in provincia), composti da 81 famiglie (32 in città e 49 in provincia)». Un’organizzazione che però ha fortemente vacillato grazie all’operazione Cupola 2.0, certamente la più importante attività di contrasto degli ultimi tempi e «compendio di quattro procedimenti penali che, oltre a delineare in ampia parte gli organici di importanti mandamenti e famiglie mafiose palermitane, ha documentato il primo tentativo, dopo la morte del capo indiscusso Salvatore Riina, di riorganizzazione della commissione provinciale di Cosa nostra, che non si era più potuta riunire da gennaio del 1993, a causa dell’arresto del citato boss». L’arresto, tra gli altri, del designato erede dell’ex capo dei capi – l’anziano Settimo Mineo – non deve comunque far abbassare la guardia: «In generale Cosa nostra palermitana, pur continuando a perseguire una politica di basso profilo e mimetizzazione, e nonostante l’opera di contrasto da parte delle istituzioni, mantiene una pericolosa potenzialità offensiva».

Come al solito l’arma preferita da Cosa nostra resta il pizzo, sia come forma di sostentamento che di controllo del territorio – come hanno testimoniato le operazioni Delirio (che ha colpito soprattutto i mandamenti di Porta Nuova e Resuttana), Talea, Nuovo Papa (che ha messo in luce le attività estorsive della famiglia mafiosa di Monreale) e la già citata Cupola 2.0.  Accanto a ciò, inoltre, si conferma come canale di collegamento l’usura, «un fenomeno diffuso che coinvolge diversi ceti sociali ed ampi strati della popolazione». Gli investigatori poi puntano il dito sul traffico di sostanze stupefacenti, anche perché ciò comporta «la necessità di collegarsi con altre organizzazioni criminali, italiane e straniere»: nello specifico «la città di Palermo costituisce bacino di approvvigionamento, specie per la cocaina e i cannabinoidi, per tutta l’Isola».

Altro settore che resta fiorente per le mafie della provincia è quello relativo ai giochi e alle scommesse. «Le attività investigative  – si legge nella relazione – fanno emergere come importanti imprenditori del settore, con l’appoggio delle famiglie mafiose della provincia, impongano il loro brand, dietro al quale spesso si celano società di diritto estero, specie maltesi. Le consorterie mafiose si spendono per favorire l’apertura sul proprio territorio di agenzie e punti di raccolta scommesse. Le attività d’indagine stanno infatti dimostrando come la gestione di molte sale gioco sia riconducibile ad esponenti della criminalità organizzata». E non va sottovalutata la «spiccata capacità imprenditoriale» della mafia, così come «l’abilità a penetrare gli ambienti politico-amministrativi»: lo testimonia ad esempio l’operazione Corsa nostra che «ha fatto emergere, ancora una volta, l’interesse di Cosa nostra verso l’ippodromo cittadino, ed in particolare verso il controllo delle gare ippiche», o gli interessi collaudati verso il mercato ortofrutticolo con gli «esponenti di vertice della famiglia dell’Acquasanta» che avevano «limitato la libera concorrenza, imponendo i prezzi delle merci e delle forniture».

Per quanto riguarda i condizionamenti della criminalità mafiosa nel campo politico-amministrativo, si segnala la prosecuzione, nel semestre in oggetto, della gestione commissariale del Comune di Borgetto. Inoltre la prefettura di Palermo ha disposto l’accesso ispettivo (effettuato in data 20 novembre 2018 e prorogato il 20 febbraio 2019) presso il Comune di San Cipirello, per verificare l’eventuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata mafiosa. In ogni caso «anche nel semestre si sono registrati danneggiamenti e atti intimidatori nei confronti delle amministrazioni locali e dei loro rappresentanti, nonché di appartenenti all’associazionismo civile».

E infine c’è il capitolo del rapporto con le mafie straniere, in special modo con quella nigeriana con la quale la mafia palermitana spartisce insieme – attraverso un sistema di fragili equilibri – il quartiere dell’Albergheria. Scrivono gli investigatori che «sul territorio della provincia si registra anche la presenza di bande criminali costituite da stranieri, cui farebbe ricorso Cosa nostra nella realizzazione delle attività criminali considerate più esposte e rischiose, quali ad esempio lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione o la riscossione del pizzo. Le famiglie mafiose manterrebbero, tuttavia, il controllo delle attività nelle zone di rispettiva competenza, tollerando, quindi, la presenza di gruppi organizzati stranieri in ruoli marginali di cooperazione o delegando ai medesimi porzioni di attività illegali».

«Un discorso a parte – si legge ancora –  merita, come già evidenziato nella precedente relazione semestrale, la criminalità organizzata nigeriana, che evidenzia molteplici elementi propri delle associazioni di tipo mafioso. Fuori dalla Nigeria, tale organizzazione etnica ricerca accordi finalizzati al riconoscimento di una certa autonomia nella conduzione delle attività illegali. Essa ha saputo, nel tempo, insediarsi anche nel territorio palermitano, organizzandosi per la gestione e il controllo stabile di attività criminali, quali lo sfruttamento della prostituzione e il traffico di sostanze stupefacenti. Cosa nostra, pressata da esigenze contingenti, potrebbe essere stata costretta ad adattarsi alla realtà dei nuovi fenomeni migratori, scongiurando conflitti con altre organizzazioni criminali straniere e, nel contempo, perseguendo, come al suo solito, nuove opportunità di profitto».

Andrea Turco

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