La lezione di Parmitano all’itis Archimede Tra le curiosità dei ragazzi e gli autografi

«Ju c’ha stringiri a manu a stu cristianu». Hanno la soddisfazione dipinta sul volto gli alunni dell’istituto tecnico Archimede di Catania alla fine del loro incontro con Luca Parmitano, 37 anni, maggiore dell’aeronautica militare originario di Paternò, astronauta dell’agenzia spaziale europea (Esa) e primo italiano a compiere attività nello spazio fuori dalla navicella. Divisi in gruppi, centinaia di ragazzi hanno ascoltato la sua esperienza, aspettando il momento delle domande per dare spazio a tutte le curiosità accumulate in questi mesi di missione in cui l’astronauta siciliano ha tenuta aggiornata l’Italia tramite i social network. «Un incontro organizzato per spiegare ai ragazzi come realizzare i propri sogni», dice la preside Daniela Vetri. Ma soprattutto per far vedere loro che è ancora possibile, perché «in Italia abbiamo tanto eccellenze – commenta Parmitano in aula – Anche se ne sappiamo poco a causa dei giornalisti che amano dare sempre l’immagine peggiore del Paese».

«Noi studenti siciliani, e dico noi perché io andavo al liceo scientifico Galileo Galilei – continua – Ci sentiamo lontani dal resto d’Italia e d’Europa. Ma questo non dovete pensarlo come un limite». La lezione speciale inizia con delle diapositive preparate dallo stesso Parmitano. Gli esami pre-partenza – «Vedete, nella vita i test non finiscono mai» -, le foto ricordo del viaggio, il cibo fatto preparare appositamente da un cuoco italiano e consumato sulla navicella insieme ai colleghi russi e americani. «Lo abbiamo mangiato tutto in una sera, ma ne abbiamo parlato per sei mesi», racconta sorridendo l’astronauta. Che spiega anche come si svolge la vita nello spazio. Sveglia alle 6 e riposo alle 23, la giornata prevede due ore e mezza di sport e diverse attività, come l’attesa sulla stazione delle navette che portano i viveri, «una tecnologia in parte italiana», sottolinea Parmitano. Poi le analisi mediche continue e gli studi «che hanno un’influenza diretta sulla terra», ma anche l’installazione e la manutenzione delle apparecchiature a bordo.

I ragazzi ascoltano attenti. Alla fine del tempo dedicato ad ogni gruppo, attorno all’astronauta si forma una piccola folla: c’è chi si fa scattare una foto ricordo e chi ha portato un libro d’astronomia da far firmare. I meno previdenti tirano fuori i taccuini per un autografo. Ma forse più entusiasti degli alunni sono i docenti e il personale della scuola, chiassosi durante la lezione e i primi a sgomitare per una foto con l’astronauta. «Qui il problema non sono i ragazzi, ma gli adulti», scherza, ma non troppo, la preside. I ragazzi si rifanno nel tempo dedicato alle domande, formulate a raffica. «Cosa si prova prima di un lancio?», chiede uno studente. «Per me è come il sogno di Peter pan – risponde Parmitano – Galleggi volando, una sensazione di straordinaria libertà». «Ma nella navicella come dormite?», si fa subito sotto un altro alunno. «Abbiamo delle cuccette delimitate da pareti, una specie di sacco a pelo galleggiante. Ma senza cuscino, perché nello spazio la testa non cade». «Qual è stato il momento più critico della missione?». «Quando ho avuto una perdita del liquido di raffreddamento del casco durante un’attività fuori dalla navicella – spiega l’astronauta all’aula, dove si ascolta con il fiato sospeso come davanti a un film – Ero isolato, ma sono riuscito a tornare alla stazione anche senza vedere nulla».

Inconvenienti del mestiere, come quello con la tuta spaziale «che non è personale perché costa intorno ai 15 milioni di dollari – spiega – Sono tute standard ma modulari. La mia, nonostante l’avessi provata a terra, l’ho dovuta allungare perché sono cresciuto di quattro centimetri mentre ero a bordo. Un altro effetto momentaneo della gravità». Insieme alle gambe che appaiono più magre e al viso invece più paffuto per effetto del sangue che sale anziché scendere. Scampoli di vita nello spazio spesso meno romantici di quello che sembra. «La navetta dove stanno tutti i nostri rifiuti, solidi e liquidi, alla fine della missione viene fatta esplodere e sembra una stella cadente – racconta Parmitano – Quindi, quando vedete una stella cadente, il mio consiglio è di esprimere comunque un desiderio, ma sappiate che il contenuto può essere diverso da quello che vi aspettate».

Claudia Campese

Giornalista Professionista dal 2011.

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