È stato presentato ieri pomeriggio al dipartimento di Scienze politiche di Catania il nuovo libro del fotografo palermitano Tony Gentile, dal titolo La guerra – Una storia siciliana, nel corso di una tavola rotonda a cui hanno partecipato anche il professore Rosario Mangiameli, docente di Storia contemporanea dell’ateneo catanese e Giovanbattista Tona, magistrato di Caltanissetta. L’incontro, organizzato dall’associazione culturale Photo Graphia, ha coniugato la passione per la fotografia con quella per l’approfondimento. Perché anche alcune storie di mafia — a vent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio — è diventata storia. «Anche le mie foto ormai sono storia, per il lasso di tempo che è trascorso nel frattempo», afferma Gentile, che ha vissuto dietro al suo obiettivo e che negli anni Ottanta e Novanta ha raccontato, con i suoi scatti, le stragi mafiose di Palermo.
Dall’omicidio dell’onorevole Salvo Lima a quello del sindacalista Pio La Torre, fino a quelli di Rocco Chinnici prima e di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino poi, nei primi anni Novanta. Nelle immagini proiettate in sala – e raccolte nel libro – non ci sono solo cadaveri, ma anche bambini, strade, case distrutte e i più noti personaggi del tempo: dal giudice Antonino Caponnetto all’attuale presidente della Repubblica Sergio Mattarella, immortalato nella sua Palermo. Fino allo scatto più noto: quello dei giudici Falcone e Borsellino che si sorridono a vicenda durante una confidenza, in un’immagine che è diventata l’icona della lotta alla criminalità organizzata.
«Sin dalla mia prima foto, ho sempre fatto il cronista — dichiara il fotografo — A me poco importa della mafia o dell’antimafia: l’antimafia per me è un valore privato da trasmettere ai miei figli. Io racconto fatti, provando, per quanto possibile umanamente, a non aggiungere niente di mio». La fotografia, dunque, vissuta come mezzo di informazione, prima ancora che come forma d’arte.
L’efferatezza dei fatti narrati giustificherebbe la scelta del titolo, escludendo qualunque edulcorazione. «Fotografare è una ricerca emotiva fatta attraverso lo sguardo. Dopo aver fotografato morti e case distrutte non avrei potuto utilizzare altro titolo se non guerra», aggiunge. Eppure le immagini da sole non bastano a raccontare. Da qui la scelta di associare le fotografie al racconto del giovane drammaturgo Davide Enia, che negli anni Novanta si apprestava ad affrontare la maturità proprio a Palermo. Le sue parole avrebbero consentito alle immagini di esprimere il loro reale significato, dimostrando che la questione mafiosa non è soltanto una lotta tra bene e male, tra buoni e cattivi, ma entra a fare parte della quotidianità di tutti i cittadini, nessuno escluso, neanche i più piccoli. Un’impostazione che, inevitabilmente, rimanda al film La mafia uccide solo d’estate (regia di Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif), che proprio lo scorso anno ha raccontato al cinema cosa abbia significato per i più giovani crescere e vivere in quella Palermo dove «ogni giorno ci scappava il morto».
Presente all’incontro anche il fotografo Santo Eduardo Di Miceli, che ha passato in rassegna alcuni fotografi che hanno preceduto Gentile nel racconto fotografico della mafia, tra cui la palermitana Letizia Battaglia ed il veneto Franco Zecchin. È intervenuto, inoltre, Giuseppe Strazzulla, coordinatore provinciale di Libera Catania, in rappresentanza delle associazioni impegnate quotidianamente nella battaglia per la legalità.
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