La grande occasione perduta

Anche se, come da indiscrezioni, sembra che ci saranno delle code nell’anno in corso, le celebrazioni ufficiali per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, accompagnate da molte polemiche e dal riemergere di mai sopiti risentimenti, si sono ufficialmente concluse. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo discorso di fine anno, ha parlato di successo di queste manifestazioni, ed in effetti non si può disconoscere la partecipazione che ha accompagnato i numerosi eventi celebrativi che si si sono succeduti nei mesi passati, partecipazione della quale sono state parte integrante le contestazioni che in molte occasioni si sono registrate.
Restano ora da fare i bilanci, resta da vedere se l’enfasi celebrativa ha colpito quello che, a mio giudizio avrebbe dovuto essere il vero obiettivo, parlo del suscitare sentimenti forti capaci di cementare quel senso comunitario che è lo spirito della nazione. Senza volere a tutti i costi essere critici, mi pare di dovere affermare che il risultato non è stato così confortante rispetto a come ce lo si aspettava. Possiamo, infatti, dire che oggi, più di ieri, quello spirito comunitario, quel sentirsi affratellati in un comune destino, si sia indebolito piuttosto che rafforzato. Basta dare uno sguardo alla frantumazione del quadro politico e al velleitario e antistorico tentativo di riconfigurarlo a partire degli interessi particolaristici dei territori, basta dare uno sguardo alla caduta di quelle tensioni solidaristiche che, anche se deboli, sono state momenti alti di riferimento della politica italiana, basta parlare con la gente comune, per rendersi conto che proprio quelle celebrazioni hanno accentuato, piuttosto che attenuato, le divisioni e i dissensi.
Non ci pare poi attenuante che su questo saldo parzialmente negativo, sicuramente abbia fatto aggio la crisi che ha investito il Paese, una crisi che viene da lontano ma che ha trovato nelle strutture deboli della nostra Italia un terreno favorevole per la sua accelerazione.
C’è da chiedersi quali possano essere stati gli errori che hanno impedito di cogliere quest’occasione storica per rilanciare ma, forse più correttamente, per contribuire a “costruire il senso della nazione” visto che è stato proprio questo il grande assente nella storia del nostro Paese. Dico subito, da chi crede che l’Unità del Paese sia un bene che va difeso, che proprio queste celebrazioni, al di là dell’enfasi, avrebbero dovuto essere momento di seria riflessione sul processo di costruzione delle Stato unitario, momento per riconoscere i limiti, per sanzionarne gli errori, per dare spazio ad una rivisitazione, non parlo del revisionismo di carattere ideologico che spesso accompagna operazioni del genere, della storia che rendesse giustizia alla verità. Avremmo apprezzato, ad esempio, che, come ha fatto il presidente Amato celebrando l’eccidio di Pontelandolfo, dalla massima Autorità nazionale – al quale va però il massimo rispetto e la stima per essere stato l’unico riferimento serio del Paese – si fosse chiesto scusa pubblicamente per gli innumerevoli fatti criminali avvenuti negli anni che portarono all’edificazione dello Stato unitario, primo fra gli altri, e lo evidenziamo perché siciliani, la repressione della cosiddetta “rivolta del sette e mezzo” che uno storico fazioso, alla presenza dello stesso Capo dello Stato, ha vergognosamente definito “rivolta clerico-mafiosa”.
Un atto di questo genere avrebbe sicuramente rinsaldato i vincoli unitari, avrebbe dimostrato la forza dello Stato, il riconoscimento dei propri errori è infatti palese manifestazione di forza, e avrebbe impedito la crescita dei risentimenti accompagnata da quella bassa cucina letteraria che, come nel caso di un testo sopravvalutato qual è il “Terroni” di Pino Aprile, piuttosto che la verità storica, a mio parere, contribuisce a costruire risentimenti e rancori nella gente. Purtroppo questo non è avvenuto e registrando questo fatto non possiamo che rammaricarcene affermando che è stata un’occasione perduta.

 

Pasquale Hamel

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