La forza vitale dell’esotismo

Dopo aver mostrato il loro splendore nei teatri di mezza Europa, giungono a Catania le spettacolari foto di Patrizia Giancotti, che ci consentono un ‘tuffo’ visivo, sonoro ed emotivo in una dimensione antitetica e al contempo parallela alla nostra.

 

Un’iniziativa di grande importanza culturale e notevole rilievo dal punto di vista artistico: stiamo parlando dell’universo alternativo offertoci dalla mostra fotografica “La nostalgia del corpo”, presentata in questi giorni da Patrizia Giancotti nel ventre dell’ex Monastero dei Benedettini.

 

Il lavoro della famosa fotografa è un omaggio alla cultura africana, immortalata nelle più variopinte espressioni della sua religiosità, e al mondo brasiliano, esaltato per la forza prorompente dei suoi colori e la sua caratteristica esuberanza tropicale.

 

Ciò che esprimono i numerosissimi quadri, esposti nei sotterranei dell’Aula Magna, è pura forza vitale, travolgente voglia di vivere comunicata attraverso gli abiti, gli sguardi, i gesti dei tanti protagonisti delle foto. Dalle molteplici immagini trapela soprattutto l’imprescindibile importanza attribuita alla danza. È proprio la danza il mezzo attraverso il quale si attua il passaggio dalla dimensione terrena a quella ultraterrena, dal naturale al soprannaturale, dal tangibile all’extrasensoriale. Naturalmente sono i riti che vengono presi in esame dalla nota antropologa, sono le celebrazioni religiose, le cerimonie di iniziazione, la vicinanza quasi reale che si stabilisce tra i morti e i vivi. Così il campo di azione si amplia, si estende sempre più: non solo vengono mostrati i coloratissimi costumi tipici delle antiche tribù africane, così carichi di significati e colmi di arcaico misticismo, ma ci si interroga anche su questioni metafisiche come la ricerca del proprio ‘Io’ tramite l’incoscienza corporale, il bisogno di congiungersi al soprannaturale e l’esigenza pressante di esprimere il proprio essere attraverso la voce, i movimenti, la musica, la corporeità.

 

Perché “Nostalgia del corpo”? «La Nostalgia del corpo è quella che, secondo una leggenda yoruba, gli dei africani provano per il mondo umano, per il cibo, per la danza, per la festa, per il tempo in cui vivevano a più stretto contatto con esso. Questo sentimento è all’origine delle feste che una parte dell’umanità celebra tutt’ora per ristabilire il ‘contatto fisico’ con l’extraumano, cedendo temporaneamente il proprio corpo alla danza, fino ad una misteriosa incoscienza».

 

Ed è la tradizione africana che viene direttamente ‘importata’ in America, sulle coste brasiliane tramite le navi negriere, quelle che senza scrupoli solcavano l’oceano trasportando verso il loro triste destino “I figli del deserto, dove la terra sposa la luce, dove vola in campo aperto la tribù degli uomini nudi”. È a questo punto del percorso che cambia la prospettiva: cambia lo stato emotivo insieme al contesto, l’osservatore non è più spettatore delle inebrianti leggende africane, smarrito nel fascino suscitato dai racconti sui culti animisti, sugli dei del fulmine e del fuoco o sulla catartica rinascita spirituale raggiunta attraverso una purificante iniziazione, ma si trova in viaggio. Al buio. Costretto ad una partenza non voluta, verso una meta sconosciuta, con l’orecchio attento ad un suono che si diffonde rapidamente nell’aria, si confonde con essa, penetra il pensiero: è il ritmo dei tamburi dell’Africa, il ritmo pulsante del sole del deserto che si trasforma nei battiti del proprio cuore. Su una nave in cui non si è più uomini ma schiavi, non più liberi ma prigionieri di una catena al collo. È il peso opprimente della schiavitù, che accompagna i figli dell’Africa fino a Bahia, porto di arrivo del Nuovo Mondo.

 

È solamente dopo il riscatto, dopo la liberazione, dopo l’intervento del dio Exu che Bahia rinasce: rinasce nei colori sfarzosi e fortemente evocativi, rinasce nel suono ritmico e primordiale dei sacri tamburi, rinasce nella tanto attesa libertà di culto dopo anni di forzata e violenta cattolicizzazione. Risorge così l’Africa: dal sudore e dal sacrificio della sua gente si erge a padrona della cultura, della predominante religiosità, della vita dei suoi figli, anche se attraverso una purificazione sublimata dal sangue. Sono spezzate le catene degli schiavi, si è riaperto il cammino dell’uomo che marcia verso il cielo pur tenendosi saldamente ancorato al suolo. Ed è ancora l’uomo africano che abbraccia la natura, la ama, si fonde con essa perché anela il contatto con il proprio alter-ego divino. Ed ecco che l’Africa si reinventa in Brasile, facendo riferimento alla sacralità dei luoghi, degli strumenti musicali, della figura femminile, dell’essere umano in quanto tale e soprattutto della fisicità di un corpo che vibra, che si muove, che danza convulsamente per far liberare lo spirito, affinché esso possa ricongiungersi al resto del creato.

Valentina L'Episcopo

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