Sant’Agata, la devozione nascosta di chi alza i cavi Girolamo: «Il mio lavoro invisibile per le candelore»

La processione di Sant’Agata non potrebbe andare avanti senza di lui. Ma in pochi sanno cosa faccia, ancor meno sono quelli che lo hanno visto all’opera e quasi nessuno conosce, davvero, chi è. «Sollevo i fili della luce che pendono sulle strade del percorso della Santa. Altrimenti le candelore non potrebbero procedere oltre», spiega a MeridioNews Girolamo Ravasco, 60enne. Per svolgere questo compito sale su una scala a pioli di legno e usa un bastone di circa cinque metri, dello stesso materiale, così da spostare i cavi senza restare folgorato.

«È molto faticoso, perché devo reggere il peso del bastone finché tutt’e 12 le candelore non sono passate al di sotto», racconta. Tempo che a volte è lungo, specie nei tratti più affollati di fedeli e spettatori. Uno sforzo che a lui, uomo gracile e minuto e non più giovanissimo, è valso il rispetto dei corpulenti portatori dei cerei. Stima guadagnata lungo il percorso della festa, anno dopo anno: «Siamo tutti amici, e anche se faccio parte del cereo dei Pescivendoli, per il quale svolgo il mio servizio – continua Ravaso – con piacere do una mano a tutti gli altri facendo lo stesso anche per loro». 

Da 35 anni è questo il modo con cui esprime la sua devozione verso sant’Agata. Un sentimento profondo e privato, sul quale preferisce mantenere il riserbo. Però, dovendo stare lui appresso alle candelore – che vanno più veloci e fanno un percorso a volte più breve del fercolo – incontra la Santa patrona solo la mattina del 4 febbraio, all’uscita dalla cattedrale, dopo la messa dell’Aurora: «Ogni volta che guardo il viso della Santuzza, piango di commozione. Lei è bellissima».

E per lui è proprio incrociare lo sguardo con Sant’Agata il momento più bello della festa: «Altro che bombe e dolcetti…». Ma non cambierebbe nulla dei festeggiamenti. Neanche i ritmi lenti del fercolo che, mentre le candelore sono già poggiate lungo la discesa per via Etnea, è fermo da circa un’ora allo stesso civico della salita di via Caronda: «È comprensibile che i devoti vogliano stare quanto più tempo possibile insieme alla nostra Agata». E ad aprire la processione, davanti alle candelore, è proprio lui a bordo dell’Apecar gialla sulla quale trasporta i suoi pesanti attrezzi da lavoro. 

Lo stesso mezzo, che il 4 e il 5 febbraio mette a disposizione del cereo dei Pescivendoli, tutti gli altri giorni dell’anno lo usa per guadagnarsi da vivere come fruttivendolo ambulante: «Vado al mercato, compro un po’ di frutta e verdura e le rivendo. Guadagno quel tanto che basta per portare a casa il pane. O faccio altri lavoretti», conclude. Il suono del fischietto, che mette in marcia la carovana delle 12 candelore, pone fine al suo tempo libero. Diretta verso il Duomo, ma non prima di inerpicarsi sulla tradizionale salita di Sangiuliano, la processione deve andare avanti. E non può senza di lui.

Marco Di Mauro

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