La distilleria Bertolino e le mancate misure di sicurezza Con il risarcimento milionario al Comune da ricalcolare

Si poteva evitare? È la domanda che è aleggiata il mese scorso, dopo l’incendio alla distilleria Bertolino. La storica azienda di Partinico, che da 40 anni opera in quello che è diventato il centro abitato della cittadina palermitana, è stata avvolta dalle fiamme in un rogo che ha visto impegnate fino a sei squadre dei vigili del fuoco nella notte tra il 10 e l’11 aprile. Tre gli operai rimasti feriti, mentre l’area è stata posta sotto sequestro. La proprietà dell’azienda ha minimizzato la portata dell’incendio, ma intanto la domanda è rimasta inevasa: è un incidente che si sarebbe potuto prevenire? Sembrerebbe di sì, a leggere la delibera n°110 emanata il 2 ottobre del 2008 dal comitato tecnico regionale per la Sicilia. Secondo i tecnici regionali, infatti, già 11 anni fa lo stabilimento per la distillazione e il deposito di alcol avrebbe dovuto «prendere tutte le misure idonee a prevenire gli incidenti rilevanti e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente».

La distilleria Bertolino, infatti, «rientra tra le attività a rischio di incidente rilevante con obbligo di presentazione del rapporto di sicurezza». Un rapporto che l’azienda ha puntualmente redatto ma che non ha convinto fino in fondo gli esperti della Regione. I quali sottolineavano che «le carenze di misure di sicurezza della distilleria non sono state risolte nel rapporto presentato dalla società, né sono state applicate». E che potrebbero essere alla base dell’incidente del mese scorso, per fortuna rimasto circoscritto. 

Sono sei le osservazioni presentate nel 2008 dagli esperti del comitato tecnico. Tra queste il fatto che i tempi di intervento previsti dall’azienda «non tengono conto della durata complessiva dell’evento incidentale». Gli impianti inoltre «non sono protetti da fire-proofing» e «nel rapporto di sicurezza non è stato tenuto conto del possibile coinvolgimento della tubazione di metano in caso d’incendio alla caldaia a polverino». Proprio una delle possibili cause scatenanti dell’incendio dello scorso mese. Nella relazione, inoltre, veniva già indicata una possibile soluzione da adottare, ovvero «la realizzazione di baie di carico fisse in sostituzione degli apprestamenti volanti (manichette di travaso) attualmente utilizzato per le operazioni di travaso da autobotte a serbatoio e viceversa». Una bocciatura ampia, insomma, che 11 anni fa indicava possibili soluzioni, che però non sarebbero mai state adottate.

E non è l’unica questione irrisolta sulla distilleria Bertolino. Quella su cui si discute da più da tempo è certamente la puzza che arriva dallo stabilimento. Dopo decenni, infatti, le sostanze maleodoranti emesse dall’essiccatore e quelle originate dallo stoccaggio delle vinacce (vergini, esauste, fecce e residui vari) continuano ad ammorbare l’aria. Ne parla anche l’ultima autorizzazione unica ambientale, recentemente rilasciata dalla Regione. Che però l’affronta come se si trattasse di un inizio delle attività, cioè come se in decine e decine di anni non ci fossero mai state emissioni maleodoranti. Inoltre, fa sollevare qualche dubbio la prescrizione della copertura delle vinacce attraverso un semplice telone (soluzione che invece potrebbe accentuare i processi di fermentazione anaerobica e le emissioni odorigene).

Ma la distilleria Bertolino non trascina con sé solo questioni prettamente ambientali. In ballo da più di 15 anni c’è l’annosa vicenda del risarcimento che l’azienda dovrebbe versare al Comune di Partinico. Ma che, tra ricorsi e ridefinizioni delle somme, resta sospesa. «Quella cifra era assurda». Non usa mezzi termini Antonina Bertolino, proprietaria della storica distilleria ereditata dal padre, a Partinico. Due milioni di euro di risarcimento, in effetti, possono spaventare. Specie se è un tribunale a stabilire che questi soldi devono venire fuori dalle tue tasche per entrare nelle casse del Comune. 

Soldi che, però, ad oggi restano congelati, inesistenti. Dopo la sentenza che nel ‘99 condannava in via definitiva la signora Bertolino a dieci mesi, pena sospesa, per danno ambientale, l’annosa querelle si spostava infatti sul piano civile. «Accertato il danno penale, ci siamo costituiti come parte offesa anche in questa sede», conferma l’ex sindaco partinicese Salvo Lo Biundo, in carica dal 2008 fino a giugno dell’anno scorso. Tre anni più tardi la condanna in primo grado del giudice civile. «La signora però a distanza di un anno e mezzo ha chiesto una sospensiva e ha fatto ricorso in appello», continua Lo Biundo. Ma la corte d’appello, successivamente, se da un lato ha confermato il danno ambientale, dall’altro ha imposto di ricalcolare il valore effettivo di questo danno, nominando oltre un anno fa tre consulenti d’ufficio per rifare tutte le perizie.

«Tutto ancora in corso, per la prossima udienza toccherà aspettare fino a metà giugno, poi ci si dovrebbe avviare verso la conclusione», spiega anche l’avvocato Armando Sorrentino, che rappresenta il Comune di Partinico e che segue la vicenda da oltre vent’anni. «La decisione di riquantificare il valore del danno causato ci ha stupito fino a un certo punto – continua -, perché nel frattempo sono cambiate tutte le vecchie leggi, compresa quella sulla base della quale c’è stata data ragione ed è stato stabilito quel risarcimento. Ma già prima dell’emanazione della sentenza di primo grado erano cambiate alcune leggi, poi sono sempre peggiorate, hanno cambiato tutti i parametri. Risultato? Che la corte d’appello ha ritenuto di dover riformulare le domande e indicare da zero i criteri con cui procedere all’eventuale risarcimento, perché ancora neanche quello si sa. Il legislatore è stato assurdo», si lascia scappare con un pizzico di rassegnazione l’avvocato Sorrentino. «La causa civile l’abbiamo cominciata nel 2003, praticamente va avanti da 16 anni…i tempi, in situazioni particolarmente difficili, possono essere questi, questa è la mala giustizia italiana».

La signora Bertolino, dal canto suo, prende piuttosto bene la nuova decisione del giudice. Specie a fronte delle modifiche alla legge 152 del codice ambientale entrate in vigore poco dopo, a marzo 2018. «Aspettiamo ancora la nuova sentenza», dice la proprietaria della distilleria. Che oggi appare sicura e piuttosto tranquilla. «A distanza di tutti questi anni il torrente Nocella è in grande deterioramento, si vede chiaramente chi è che scarica bene e chi male, loro – dice, riferendosi alle altre fabbriche della zona – non fanno niente, continuano e non hanno impianti di depurazione, quelli che ci sono non li fanno funzionare. Noi ormai abbiamo lo strumento collegato al Comune, loro sanno che in tutti questi anni abbiamo scaricato sempre a norma, ciononostante il torrente è molto peggio di prima. Intanto è stato facile in questi anni puntare il dito contro di noi, il colosso della zona». Nella visione della proprietaria, insomma, quella storica distilleria in viale dei Platani sarebbe stato, in questi trent’anni, il capro espiatorio perfetto.

«Tutto da ridefinire – torna a dire Lo Biundo -. Quei due milioni di euro, se fossero stati confermati, sarebbero stati utili nella logica del bilancio per quanto riguarda i problemi finanziari del Comune, mettendoli in entrata come somme che l’amministrazione avrebbe potuto utilizzare. In ogni caso siamo in sede civile, non c’è nessuna prescrizione, aspettiamo», dice. Anche se da quando non è più sindaco di Partinico non è tenuto a seguire in prima persona l’evolversi della questione. Sulla quale, al contrario, il neo dimissionario sindaco Maurizio De Luca non è sembrato troppo informato. «Non ho dati per rispondere su questo punto, ma non è un mistero che siamo un Comune in dissesto, se c’è la possibilità di incassare delle cifre, le vado cercando», aveva dichiarato solo poche settimane fa a MeridioNews, commentando il punto definitivo su un’altra annosa questione, quella della dislocazione della distilleria, stabilita una volta e per tutte appena un mese fa e che vedrà la storica fabbrica spostarsi in contrada Sant’Anna, a ridosso dei Comuni di Balestrate ed Alcamo.

E che non ha mancato di suscitare, ancora una volta, aspre polemiche. «Là ci sarà un nuovo impianto, sarà tutto innovativo, un aspetto conveniente anche per la proprietaria in primis – spiega di nuovo Lo Biundo -. Tutto verrà fatto con capannoni chiusi e coperti, tutto di nuova generazione, quindi saranno necessarie autorizzazioni Aia e ministeriali, non è semplice e facile, non è che prendi e sposti. Non ci possono essere nuove autorizzazioni per una struttura obsoleta, quindi serve tutto nuovo. È vero che continuano a fare casini perché lì nella nuova sede non la vogliono, ma la cosa è allucinante perché l’area è stata individuata nella zona industriale, si tratta di un’area di proprietà della signora a confine con la zona industriale, che già era stata individuata dal prg come zona migliore dove spostare la distilleria. Il fatto è che là sono sorte alcune strutture ricettive, ma che sono abusive nella logica del piano regolatore perché sanate, che adesso lamentano che la distilleria creerà nocumento sulle attività che stanno svolgendo. Ora si vengono a lamentare perché un’industria si sposta nell’area industriale? È il paradosso della Sicilia, dove dovevano metterla?».

Sterili polemiche, quindi, quelle che starebbero dietro a una dislocazione per la quale negli anni si è speso il mondo dell’associazionismo, il consiglio comunale, la stessa signora Bertolino e il Comune. «Questi sono lunghi accordi lavorati per anni – insiste infatti l’ex sindaco -. Nel giro di massimo tre anni dovrebbe spostarsi definitivamente, perché ormai tutte le autorizzazioni sono state concesse, era l’unica strada percorribile per fare andare via la distilleria dal centro abitato, è una bomba ad orologeria. In passato c’è stata solo gente che o ha ricattato la proprietaria, siamo intorno agli anni ’90, o gente che ha utilizzato la distilleria come cavallo di battaglia per vincere le campagne elettorali, promettendo di farla chiudere, e arriviamo agli anni 2000, sapendo di non poterlo fare e dovendo fare marcia indietro. Poi si è capito che bisognava puntare tutto sulla delocalizzazione, è stata soprattutto la proprietaria negli ultimi anni a pressare per questo discorso, io nemmeno ci volevo credere, l’ho vissuto in prima persona, forse per il contesto, era forse col fiato sul collo e si sentiva messa all’angolo».

Andrea Turco

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