La crisi delle edicole etnee, in 10 anni 40 chiusure «Come resistere? Con meno giornali e più svaghi»

«La cultura, l’informazione, non ce ne frega un tubo… Una volta c’erano gli editori puri, nati nelle fetide stamperie. Poi è finito tutto in mano alla finanza. Gli articoli sono una fotocopia, sui giornali di carta non ci sono più le grandi inchieste. Una serie di cause che hanno portato alla svalutazione del cartaceo». Cosi risponde Giuseppe Catalano, commissario del sindacato nazionale a difesa dei giornalai, riguardo alla chiusura di 40 edicole catanesi negli ultimi dieci anni e a un calo delle vendite che sfiora il 45 per cento. Colpa di politiche imprenditoriali sbagliate da parte degli edicolanti, ma anche di un sistema normativo che non aiuta: «Esiste una cosa che si chiama tassa sull’ombra – spiega il sindacalista – Prevede che si paghi il suolo pubblico occupato dall’ombra dei tendaggi dei punti vendita. La tassa varia in base al luogo in cui si trova l’edicola: se in centro storico, costa fino a cento euro. In tanti Comuni d’Italia abbiamo protestato affinché venisse rimossa, ma nel frattempo molte edicole hanno chiuso i battenti». 

«I punti vendita – prosegue Catalano – sono pieni di prodotti invendibili, perché spesso editori e distributori violano le normative. La merce in più si può restituire e la distribuzione dei prodotti va fatta in base alle possibilità di vendita. Invece le edicole sono sovraccariche di cruciverba, giornali di uncinetti, bustame vario e inutile… Tutto non vendibile». Ma esiste anche il problema opposto: «Ci sono intere zone in Sicilia in cui i giornali non vengono affatto recapitati. I distributori locali non riforniscono le edicole dei paesi più piccoli, e questo va contro la legge. I sindaci, poi, dovrebbero essere incentivati a interessarsi al problema: non avere giornali a disposizione è una violazione di un diritto costituzionale». Cioè il diritto all’informazione. Che in alcune realtà si è del tutto allontanato dalla carta stampata. 

«Se si esce dalla logica del “Io sono giornalaio e vendo giornali” e si entra nella logica del “Io sono un commerciante e devo guadagnare”, le possibilità ci sono. Bisogna entrare in una mentalità più commerciale». Cioè, spesso, diversificare l’offerta: «Ho visto molti edicolanti in prossimità di scuole non avere neanche un minimo di cartoleria – prosegue il sindacalista – Le edicole potrebbero vendere prodotti di cui la gente ha bisogno: i biglietti degli autobus, per esempio. Ma i punti vendita vanno valorizzati affinché diventino anche un punto di socializzazione». L’esempio è quello di alcuni giornalai milanesi durante l’Expo di Milano 2015: «Le edicole diventarono infopoint e il progetto fu finanziato con fondi europei», conclude Giuseppe Catalano. Una strada che anche a Catania, soprattutto in centro storico, qualcuno sembra essere interessato a percorrere.

«Il futuro delle edicole dipende da tanti fattori, tra i quali anche la vendita di prodotti paraeditoriali come gadget od occhiali da lettura, ma anche servizi come il pagamento delle bollette», spiega a MeridioNews un edicolante 30enne, che gestisce da circa quattro anni l’attività di famiglia in una delle principali arterie cittadine. «È un settore in continua contrazione: se sei in una strada con altre edicole, non hai molti spazi. Nei piccoli centri, invece, puoi essere il punto vendita monopolista e allora puoi aggiungere altri servizi: tabacchi, cartoleria, scommesse…». Meno giornali e più svago. «Noi abbiamo sempre meno potere contrattuale nei confronti di editori e distributori. E chi cerca informazioni va su internet». Un circolo vizioso che non può aiutare a uscire dalla crisi. «Si sta perdendo la rete sociale che si creava attorno alle edicole: rapporti di fiducia e confidenza con il vicinato, per esempio, che adesso restano vivi grazie agli anziani che costituiscono la nostra clientela e che sono abituati alla carta».

«La mia famiglia e io avevamo un’edicola in via Vincenzo Giuffrida, una in via della Concordia e questa qui, in via Filocomo. È l’unica che è rimasta, le altre le abbiamo chiuse», racconta un altro giovane edicolante, proprietario da sette anni del punto vendita che gli è stato lasciato dai genitori. «A noi tocca solo il 18, 20 per cento del ricavato, quindi per guadagnare qualcosa dobbiamo impegnarci il doppio di prima. Noi siamo qui dalle sei del mattino, siamo presenti e gestiamo tutti i clienti – prosegue – E ci dobbiamo confrontare anche con il fatto che del materiale che si vende di più i distributori ci danno poche copie». Per questo, anche lui, ha riempito la sua attività pure di servizi collaterali: biglietti di metro e bus, fax e fotocopiatrice. Un elemento positivo? «Qualche giovane, ogni tanto, viene a comprare Focus».

Federica Nicolosi

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