Allora, onorevole, com’è finita oggi in Commissione Sanità? Telegrafica la risposta: «Tutto a posto, abbiamo stoppato l’assessore Lucia Borsellino».
A parlare è il parlamentare regionale Salvatore Cascio, Sicilia Democratica, la nuova formazione politica che fa capo a Lino Leanza. Mentre ad essere stato stoppato è quella parte del Piano per il riordino della rete ospedaliera della Sicilia che prevedeva lo sbaraccamento di nove ospedali siciliani. Nei giorni scorsi abbiamo scritto che tra due anni sarebbero stati chiusi gli ospedali di Ribera (provincia di Agrigento), Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Scicli, (Ragusa), Mazzarino (Milazzo), Leonforte (Enna), Giarre (Catania), Noto (Siracusa), Salemi (Trapani). E questo se n’era aggiunto un nono: l’ospedale Ingrassia di Palermo.
A rafforzare la decisione adottata stasera dalla Commissione Sanità dell’Ars c’è un parere del Consiglio di Stato. Dove si critica il decisionismo della Conferenza Stato-Regioni. Il discorso è semplice: in Conferenza Stato-Regioni ci deve essere un accordo tra Stato e Regioni. Ma se a decidere è Roma ignorando le Regioni, beh, la cosa non va bene.
Insomma, lo stile del Governo Renzi «tutto io faccio io» con la sanità pubblica non funziona. Così stasera la Commissione Sanità ha, di fatto, certificato un orientamento che era emerso due giorni fa, quando proprio l’onorevole Salvatore Cascio ha sgamato l’operazione che era stata messa a punto dal Governo: potenziare – almeno sulla carta – i piccoli ospedali spendendo un sacco di soldi per poi chiuderli il 31 dicembre del 2016.
Su questo punto sarebbe anche maturato un retro-pensiero. E cioè che il potenziamento previsto per gli ospedali che poi avrebbero dovuto essere sbaraccati tra due anni avrebbe potuto somigliare tanto alla sceneggiata sulla medicina del medicina del territorio. Qualche anno fa – erano i tempi del Governo di Raffaele Lombardo – in Sicilia si chiudevano un sacco di reparti ospedalieri, eliminando posti letto. Con il Governo – erano i tempi dell’assessore Massimo Russo – che andava dicendo in giro che, contemporaneamente, la Regione avrebbe istituito la medicina del territorio: i Punti territoriali di emergenza (Pte) e i Punti territoriali di assistenza (Pta).
Reparti e posti letto sono stati sbaraccati, mente i siciliani aspettano ancora la rete di Pte e Pta. La Regione ne ha realizzato qualcuno qua e là e funzionano a corrente alternata. Di fatto, fino ad oggi, la medicina del territorio – che una volta realizzata avrebbe dovuto alleggerire il lavoro degli ospedali pubblici – è stata una presa per i fondelli. Tant’è vero che nei Pronto Soccorso dell’Isola regna il caos.
Perché abbiamo citato l’esempio della presa in giro sulla medicina del territorio? Semplice: perché il potenziamento degli ospedali da chiudere – che secondo l’onorevole Cascio, in una logica di buon senso, avrebbe fatto configurare il possibile danno erariale (perché, si chiedeva qualche giorno fa Cascio, potenziare un ospedale, spendendo un sacco di soldi, per poi chiuderlo?) – avrebbe potuto nascondere un trucco in stile medicina del territorio in salsa siciliana.
Da un lato, con la scusa che avrebbero effettuato grandi investimenti per i piccoli ospedali, avrebbero ulteriormente sguarnito tutti gli altri ospedali siciliani. Poi – per l’appunto, in stile medicina del territorio-chi l’ha visto? – avrebbero ritardato il potenziamento dei piccoli ospedali; quindi, a fine 2016, avrebbero detto: ma se dobbiamo chiuderli che li potenziamo a fare?
Così avrebbero fregato due volte i siciliani: avrebbero chiuso 8 o 9 piccoli ospedali e avrebbero risparmiato i soldi che non sarebbero stati spesi nel potenziamento degli piccoli ospedali che sarebbero stati chiusi.
Retro-pensiero eccessivo? «A pensar male si fa peccato, però qualche volta s’indovina», diceva il senatore Giulio Andreotti.
Per fortuna questi atti di banditismo amministrativo-sanitario – a cominciare dalla chiusura di otto ospedali – è stata scongiurata. Ma la battaglia politica e culturale per salvare la sanità pubblica siciliana è ancora lunga.
Ora si apre la partita per salvare i 400 posti letto che Roma e il Governo nazionale vorrebbero sbaraccare (250 nel pubblico e 150 nel privato).
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