La Commissione Attività Produttive a Gela L’ad Eni: «Green Rafinery ad olio di palma»

Ad un certo punto il presidente del consiglio comunale Giuseppe Fava sbotta. «Chiacchiere, chiacchiere e chiacchiere. Quando i cittadini mi fermano per strada per chiedermi che ne sarà della Raffineria di Gela, io non so che cosa dire». Aula consiliare, 28 ottobre. Su richiesta del deputato gelese all’Ars Giuseppe Arancio, la terza commissione Attività Produttive presieduta da Bruno Marziano si è riunita a Gela per saperne di più sui nuovi piani industriali Eni.

Si attendevano numeri e dati, in gran parte si sono avute nuove promesse ed ulteriori richieste. «Per favore, non chiamiamole compensazioni ma interventi che aiutano il territorio», chiede il sindaco di Gela Angelo Fasulo nell’intervento che inaugura la seduta. Tracciando la linea portata avanti dall’altro deputato gelese ed ex presidente della provincia in quota MpA, Pino Federico. Porto, autostrada Siracusa – Gela, ripristino della diga Disueri: una lista sempre uguale, ripetuta ad ogni ridimensionamento della ormai ex Raffineria. Sulla nuova Green Rafinery, sul numero di posti di lavoro necessari e sulle trivellazioni da 1 miliardo e 800 milioni di euro (su un totale di investimenti di 2,2 miliardi) non è dato sapere.

Pochi e velati i chiarimenti del nuovo amministratore delegato Carlo Guarrata. Si sa solo che la Green Rafinery verrà alimentata con olio di palma importato, che i posti di lavoro verranno sì garantiti ma con «mantenimento a ruolo». Cioè «la stragrande maggioranza dei lavoratori Eni dovrà essere trasferita». Ma niente paura, «le loro famiglie rimarranno qui». Guarrata ci tiene a precisare che si tratta di «un cambiamento, non di un disimpegno». Infatti «gli investimenti saranno quadriennali» e «l’Eni non cercherà l’ottimizzazione a tutti i costi sull’indotto».

Forse ai lavoratori sarebbe piaciuto di più conoscere nel dettaglio in che proporzioni le maestranze verranno garantite. Forse avrebbero apprezzato di più un piano industriale che rilanciasse le loro competenze piuttosto che la promessa che il cane a sei zampe se ne farà carico. In questo l’ad della Raffineria è sibillino. «Senza i finanziamenti Eni molte società (dell’indotto ndr) dovrebbero portare i libri in tribunale». Perlomeno il nuovo impianto «non prevede pet-coke né nuovi punti di emissione». Inoltre è già cominciato il processo di smantellamento e la dismissione delle prime obsolete strutture.

Può bastare? Per molti componenti della commissione sì. Da Marziano in giù, promettono che faranno di tutto per «agevolare gli iter autorizzativi». Il resto lo si saprà il 6 novembre, data fissata dopo il secondo accordo preliminare per provare a stabilire una volta per tutto il futuro del sito gelese. Di nuovo Eni da una parte, sindacati ed istituzioni dall’altra. Con la popolazione ad attendere ancora una volta risoluzioni messianiche. Mentre la città si svuota. I dubbi e le incertezze però rimangano. Le esplicita il capogruppo Pd Giacomo Gulizzi. «Sui 400 milioni che neanche avete indicato nell’accordo del 21 ottobre – dice il consigliere rivolgendosi ai vertici Eni – 250 milioni sono destinati agli impianti di bioraffinazione. Non sono definiti né tempi né uomini necessari. Il dato oggettivo è chi dovrà farsi carico dei lavoratori. Se facciamo un calcolo di massima dovrebbero lavorare 400 – 500 persone». Rivendicazioni da sindacalista che invece i sindacalisti presenti non fanno. Preoccupati piuttosto nei propri interventi di cooperare per il futuro dell’azienda e dei lavoratori.

Andrea Turco

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