La bilancia squilibrata del concorsone Storia di Barbara, 27 anni, aspirante docente

Circolo didattico madre Teresa di Calcutta, Tremestieri Etneo. Io sono dell’ultima infornata, c’era scritto alle 17.30 e mi scopro in anticipo di due ore. La solita ansia. Il collaboratore scolastico mi chiede se sono lì «per il corso». Sì, sono per il corso, chiamiamola formazione, è sempre un’esperienza. Mi indica un’aula in cui posso aspettare seduta: tutta colorata, ha le pareti tappezzate di disegni, numeri, lettere dell’alfabeto. E sulle sedioline rivestite di rosa si sono accomodate le mie colleghe. Avranno cinquant’anni a testa e devo chiamarle colleghe. Anche loro lì per “il corso”, quello che mia madre -precaria coetanea – si è rifiutata di fare.

Mi dicono che mia madre è una persona intelligente, ci diamo del tu, mi sorridono come si sorride a una bimba. Ed io quasi quasi mi ripasso le divisioni da un cartellone. Ce n’è pure uno con gli insiemi, «ma voi le sapete fare quelle con i diagrammi?». L’intersezione, l’unione… siamo nel posto giusto per ripassare. Il problema sono tutti quei contadini che raggiungono altri contadini, tutti quei cavalli che doppiano altri cavalli a non si sa che giro, tutte quelle palline colorate di colori diversi, tutti quei piccoli Gabriele autistici che disegnano quadrati e triangoli con un numero blasfemo di tessere. Noi siamo dei furbacchioni, avevamo tutti i pdf con le millemila soluzioni, ma in breve torniamo alla stessa scenetta che si sarà recitata in tutte le scuole italiane la settimana prima del concorsone del ministro Profumo: una docente di scienze che va alla lavagna e scrive per i docenti d’altro genere la formula dei pesi sulla bilancia. Fortunatamente stavolta mancano gli alunni che ci guardano con gli occhi sgranati.Eppure forse non ci siamo nemmeno chiesti «chi sei?», ma abbiamo detto «per cosa sei?», e risposto con una lettera e un numero: A043, A59, A036. Sarà che ormai ragioniamo per sequenze di lettere e numeri.

L’aula multimediale ha diciotto postazioni, ne riempiamo sedici, a quanto pare hanno disertato in due. Diciotto monitor fermi sul simulatore, da incubo. I membri della commissione sono già alle statistiche: chi è per discipline scientifiche ha più probabilità di passare, come anche chi arriva al galoppo con l’entusiasmo di un giovanissimo. Ieri la strage, oggi un po’ meglio, e voi siete gli ultimi, facciamo in fretta e sarà finita.
Mi hanno spedita alla postazione quattro. Il quattro è il mio numero fortunato. Accanto a me c’è Cesare, precario sulla quarantina. Mi raccomanda di non farmi prendere dall’ansia, di rispondere ad almeno quarantuno domande, di lasciar perdere quelle di cui non sono sicura. Scriviamo insieme l’alfabeto sul foglio, in modo che da non perdere tempo a contare davanti a una sequenza. Ci diciamo in bocca al lupo con gli occhi. Cinquanta minuti dopo lui non passa l’esame, io sono tra i tre/quattro fortunati. Sospiro di sollievo, ma mi sento sullo stomaco tutte le sue abilitazioni e tutti i suoi anni di servizio.

Il quiz non era impossibile. Bisognava semplicemente dimenticare la propria formazione e studiarci, ingranare il meccanismo, ricordarsi di aver gradito la matematica in tempi anche remoti. Bisognava stancarsi. Con due giorni di permesso da lavoro me la sono cavata. Ma quei quiz erano stupidi, che è diverso. Di una stupidità perfida. Un sistema di selezione tragicomico per madri di famiglia sfiancate. E quando ti senti preso in giro, l’unica forma di ribellione concreta che ti resta potrebbe anche essere il rigetto di altra stanchezza. La vera difficoltà di quei quesiti era che invece di risolverli ti veniva voglia di parodiarli. Mal comune fa sempre un po’ gaudio.
Adesso dovrei pensare allo scritto. Riprendere – a quanto pare in un mese – tutta la lingua e la letteratura italiana, tutta la lingua e la letteratura latina, la storia – dalle antiche civiltà alla contemporaneità-, la geografia. E quasi certamente saranno domande a risposta aperta. Visto l’andazzo, tremo al pensiero di cosa si potrebbe chiedere al candidato. Però una domanda sulla normativa scolastica italiana posso ipotizzarla:
«Com’è possibile che la prof. che ieri spiegava la formula dei pesi sulla bilancia abbia vinto il concorso nel ’92 e sia ancora senza cattedra?».
«Ridere in dieci righe».

[Foto di swhsu]

Barbara Distefano

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