2 marzo 1933, New York. In contemporanea al Radio City Music Hall e al New Roxy ha luogo la prima ufficiale di King Kong, la cui regia a quattro mani era di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, personaggi noti agli addetti ai lavori per essere stati gli autori di documentari all’avanguardia come Grass (1925) e Ghang (1927).

Il film, le cui ambizioni iniziali erano decisamente contenute, non solo entrò di diritto nell’immaginario collettivo (basti pensare alla scena cult  dell’abbattimento della belva in cima all’Empire State Building) ma registrò anche il primo incasso record della storia del cinema: ben 89.931 dollari in soli quattro giorni. Nei decenni successivi messe di produttori e registi di mezzo mondo (compresi gli stessi Cooper e Schoedsack) riproposero, ad intervalli regolari, il dramma della scimmia antropomorfa partendo, chi più chi meno, dalla stessa idea concept di base. Tra questi vanno ricordati: Il figlio di King Kong (di Ernest B. Schoedsack, Usa, 1934), Edo ni arawareta Kingu Kongu (di Sòya Kumagai, Giappone, 1938), Il re dell’Africa (di Ernest B. Schoedsack, Usa, 1949) ed infine il remake prodotto da Dino De Laurentis King Kong (di John Guillermin, Usa, 1976).

Nessuno di questi titoli però riuscì a ricreare la stessa atmosfera dell’originale, in bilico tra adrenalina e sentimentalismo, e neppure la brava e belle Jessica Lange sfiorò il mito di Fay Wray (la prima storica protagonista). Per il suo settantaduesimo compleanno il re dei gorilla si è fatto rifare il trucco da Peter Jackson, profeta del bluescreen e artefice di quello che è stato il più grande successo cinematografico degli ultimi dieci anni ovvero “La trilogia del Signore degli Anelli” (17 Oscar complessivi). Il neozelandese Jackson, che la leggenda vuole abbia deciso di diventare regista a soli nove anni, proprio dopo aver visto per la prima volta la pellicola di Cooper e Schoedsack del ’33 (sono anni che cerca strappare a suon di dollari la locandina originale a Harry Knowles, il cinefilo più importante del web), aveva già lavorato allo script di King Kong nel 1996 ma il sogno di una vita, realizzare il remake del suo film preferito, fallì clamorosamente a causa della scarsa fiducia deposta dalla Universal nei confronti dell’intero progetto. Otto anni più tardi, la stessa Universal invita a Jackson, che nel frattempo non è più uno sconosciuto, a rimettere mano alla sceneggiatura, stanziando una cifra che gira intorno ai 150 milioni di dollari.

Il filmaker, coadiuvato dalle due autrici Fran Walsh e Philippa Boyens (e da circa 500 tecnici del computer) , ha dato vita ad un King Kong digitale (animato sulla mimica di Andy “Gollum” Serkis) i cui balzi terrorizzano la stessa New York anni trenta del primo film. Attraverso gli occhi esterrefatti dei protagonisti della sua  pellicola (Naomi Watts, Adrien Body e Joe Black) Jackson vuole trasmettere allo spettatore le stesse loro sensazioni, di stupore e terrore, nello scoprire la natura selvaggia di un luogo come Skull Island, un’isola nascosta popolata da tribù primitive e da dinosauri feroci ed affamati. Lo scorso 6 dicembre per la prima newyorkese del film, la cui durata è di centottanta minuti, la Universal ha messo a disposizione del pubblico trentasei sale e ha allestito una gigantesca statua di 6 metri (vedi foto) al centro di Times Square.

In attesa di scoprire se il King Kong a pixel avrà la meglio su quello progettato da Delgado del 1933 o di Carlo Rambaldi del 1976, è già disponibile in dvd  un ghiotto documentario di tre ore e quarantasei minuti curato dallo stesso Peter Jackson il cui titolo è King Kong – Peter Jackson’s Production Daries (prezzo indicato 19 euro). Qualora foste interessati a rinfrescarvi la memoria, la pellicola del ’33 e il remake del 1976 sono di facile reperibilità in formato dvd.

Links utili:
http://www.kingkongmovie.com/   (sito ufficiale)
http://www.uip.it/kingkong/          (sito italiano)

Vittorio Bertone

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