Karol Wojtyla, un anno dopo

“Sarebbe forse meglio che muoia, se non posso compiere la missione affidatami – e subito aggiungeva – sia fatta la tua volontà…totus tuus”. Era da poco trascorso mezzogiorno della sua ultima domenica di Pasqua, il 27 Marzo. La gente in piazza aveva atteso con ansia che si affacciasse per impartire la benedizione Urbi et Orbi. Invece solo qualche cenno benedicente con la mano, lo sguardo sofferente  e l’impossibilità di far sentire la propria voce. Mercoledì 30 Marzo, era ancora un scambio di sguardi. Il Papa soffriva, non riusciva a parlare, i fedeli piangevano e salutavano quella figura ricurva; nessuno immaginava sarebbe stata la sua ultima apparizione pubblica.

Giovedì 31 Marzo, poco dopo le ore 11 un brivido lo squassava mentre celebrava la Messa nella  cappella privata; iniziava così il suo ultimo viaggio. Un viaggio unico, attraverso un sentiero fatto di sofferenza. Ma il Karol non era solo, teneva in mano un Rosario, totus tuus, aveva accanto a sé la foto dei genitori, era accompagnato dalla preghiera di tutti. Si pregava nelle sinagoghe, nelle moschee, le chiese erano un continuo viavai di fedeli, Piazza San Pietro stracolma.

Giovanni Paolo II, sereno e cosciente, si univa alle preghiere con accorata partecipazione: chiedeva gli venisse impartita la comunione, che venisse celebrata la Via Crucis e faceva il segno della croce ad ogni stazione. I due giorni seguenti sembravano non avere fine; gli appartamenti papali erano la meta del pellegrinaggio continuo dei collaboratori del Santo Padre. Ciascuno voleva congedarsi, baciare un’ultima volta la sua mano. Nessuno riusciva a trattenere le lacrime.
Erano le 17 del 2 Aprile quando, con voce flebile diceva ai presenti: “Lasciatemi andare alla casa del Padre”. Il monitor documentava il progressivo esaurimento delle funzioni vitali. Al Papa, secondo una tradizione polacca, veniva posta in mano una piccola candela accesa. Il suo sguardo spesso si posava sull’immagine di Cristo sofferente, Ecce Homo, e sull’immagine della Madonna di Czestochowa.

Le immagini di una vita affollano i pensieri dell’uomo: l’abbraccio della madre, i consigli del padre, un calcio al pallone, le sfide in canoa, la prima Messa, habemus papam, “non abbiate paura”, uno sparo, un dolore atroce, le passeggiate in montagna, quel grido “Giovanni Paolo, Giovanni Paolo” e quei canti gioiosi che tante volte avevano scandito i viaggi, che adesso risuonavano incessanti dalla piazza: “Vi ho cercato, adesso siete venuti da me e per questo vi ringrazio”.

21.37, il tempo si è fermato e il respiro è svanito, l’annuncio alla città e al mondo, il  lento rintocco delle campane così a Roma, così a Cracovia, così ovunque, e intorno al corpo senza vita del Papa i presenti intonavano un Te Deum di ringraziamento.
Il ringraziamento nei giorni seguenti sarà incessante, milioni di persone renderanno omaggio all’uomo e al Papa fino all’indimenticabile “Santo Subito”, scandito a gran voce durante i funerali.

Riccardo Consoli

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