«Alcune cose sono inspiegabili, come la musica. E la mia pittura forse è così». Con queste parole Jean Calogero definiva la sua arte. E in effetti, camminando tra la sua vita e i suoi pensieri, attraverso i corridoi della Galleria d’Arte Moderna del Centro Culturale Le Ciminiere di Catania, che ospiterà fino al 12 dicembre la mostra antologica dedicata al pittore catanese, si raccolgono più domande che risposte.
Ciò che incuriosisce il visitatore, passo dopo passo, è la struttura del percorso in cui l’esposizione si snoda, con oltre cento dipinti a olio che raccontano a ritroso le stagioni creative dell’artista, in un arco temporale di cinquant’anni. Sulle prime tele proposte al piano terra si trovano gli ultimi squarci della vita di Calogero, i suoi ultimi giorni trascorsi circondato dagli affetti familiari in Sicilia, in una Acicastello che si tinge di rosso e di blu. Le opere del primo corridoio sono quelle degli anni 80’/90′ e presentano un artista già maturo, inaccessibile, onirico, quel pittore che in un’intervista in bianco e nero affermava :«La pittura per me è qualcosa di vitale, di naturale, come un sogno, è arte surrealista».
Quando lascia la Sicilia, dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Catania, Calogero è un giovane in cerca di fortuna e di ispirazione. Fa della Francia la sua seconda patria e negli anni 50′ Parigi ospita la sua prima mostra personale, successo per il quale sarà premiato con la Grande Medaglia d’Argento, massimo riconoscimento conferito agli artisti viventi.
Gli anni 60′ e 70′ sono quelli in cui guarda il mondo dalla finestra dello studio parigino che prima era stato di Degas. E sulle tele si vedono sfilare maschere e cavalieri che hanno come sfondo gli angoli dolci della capitale francese e i lidi di Venezia: «Le maschere rappresentano il carnevale di Sicilia, volti che ho preso dalla mia infanzia» racconta spesso.
Il consenso del pubblico e della critica gli aprirà le porte dei saloni d’oltreoceano, e alle mostre parigine seguiranno le esposizioni di New York, Los Angeles, Chicago e Tokyo.
Salendo al primo piano, quindi camminando indietro nel tempo, si ripercorrono gli anni 40′ e 50′. I colori sono quelli vivaci ma tristi del circo mentre dai quadri spunta fisso lo sguardo di quelle che lui definiva “pupe”, le bambole abbigliate a festa ma con i visi tristi, trasfigurazioni del carnevale siciliano. «Quello che a me interessa è il colore, il soggetto è un pretesto. Il colore è lo sforzo della materia per diventare luce», spiegava.
La mostra, promossa dai figli del pittore Massimiliano e Patrizia e organizzata dall’Associazione Spaziovitale, si conclude con un video realizzato dall’artista Marilena Vita con immagini inedite, fotografie e frammenti di interviste.
Molti critici si sono posti il problema di definire Calogero: macchiaiolo, impressionista o surrealista come lui stesso suggeriva? Carmelo Strano, critico delle arti visive e filosofo, nonché professore ordinario di Estetica e Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università di Catania e curatore della mostra, nel suo libro “Oltre l’isola. Il basso continuo dell’Etna” lo definisce impressionista per l’uso dei colori, ma surrealista sul piano poetico. Compito di critici e studiosi è quello di codificare e di inscatolare il materiale in una corrente artistica, di renderlo leggibile, ma come spesso accade in questo campo, le definizioni stanno strette, ognuno continuerà a vedere ciò che vuole dentro quegli sguardi assenti e dietro quelle maschere tristi.
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