Venti figure di donne che hanno alle spalle una storia di impegno civile e sociale e che rivestono un ruolo chiave per la costruzione della futura leadership nel Mediterraneo – dalla Giordania alla Tunisia, dal Marocco all’Algeria, al Libano, all’Egitto – si sono riunite, tutte insieme, per la prima volta a Palermo per firmare un documento programmatico e dare vita al network chiamato Jasmine, una costola nata dalla rete Mediter e creata nell’ambito del progetto Amina finanziato dall’Unione Europea e con il sostegno del Comune di Palermo e della Regione Sicilia. Nel mese di marzo, per le venti madrine della neo rete, ci sarà un altro appuntamento insieme, in occasione di MediterExpo, la prima edizione di una esposizione delle culture e delle eno-gastronomie dell’area mediterranea, in programma a Palermo, dal 4 all’otto marzo.
La rete Jasmine si configura come uno strumento strategico condiviso indirizzato alle nuove generazioni che potranno contare sul supporto di queste venti donne leader, di cui diciotto appartenenti al mondo arabo. Stamane, al teatro Santa Cecilia di Palermo, alcune di loro si sono raccontate incrociando le loro voci con quelle di altre donne siciliane appartenenti al mondo dell’imprenditoria e della cultura. In un Medio Oriente che, dopo le crisi irachena e siriana, è diventato un enorme campo profughi permanente e dove si continua a morire, queste donne vogliono ricominciare a ricostruire. All’orizzonte si intravede un femminismo differente rispetto al passato, che va oltre alle battaglie per il velo e che punta su una maggiore giustizia sociale ed eguaglianza sostanziale. Punto di forza di queste donne è l’eterogeneità non solo geografica.
Tra loro ci sono poetesse, scrittrici, giuriste, giornaliste, esperte in management pronte a incoraggiare le nuove generazioni di donne e a cogliere le sfide del futuro senza dimenticare però quelle donne che perdono la vita nel Mediterraneo e che vivono nei campi profughi. Farida Allaghi, ex ambasciatrice della Libia presso l’Unione europea, punta sulle nuove generazioni. Attivista da sempre nella difesa dei diritti delle donne e dei bambini del Terzo mondo, auspica che ci sia una Greta anche nel mondo arabo e un nuovo modello che tenga conto delle richieste delle donne a partire però dal basso. «Questa ragazzina svedese – dice Allaghi – è riuscita a fare più di ciò che Governi e altre istituzioni hanno fatto in tutti questi anni. Nel mondo arabo siamo stanchi di queste migliaia di morti e della povertà. La ricchezza, infatti, è concentrata nelle mani di poche famiglie mentre il resto della popolazione soffre. Questa rete pertanto dovrà fare i conti con la realtà senza dimenticare le donne che continuano a morire nel Mediterraneo. La rete dovrà attirare l’attenzione di altre donne influenti del mondo della politica, dello sport, dei media».
Rita El Khayat, scrittrice marocchina e voce delle donne arabe attraverso i suoi romanzi, spiega: «C’è ancora molta strada da percorrere per noi donne affinché ci sia una reale parità, mi riferisco sicuramente al mondo arabo ma anche all’avanzato occidente dove le donne non hanno lo stesso potere degli uomini. In politica, ad esempio, Stati Uniti, Francia e Italia, non hanno mai avuto presidenti donne». Nehad Abol komsan, avvocato, è membro del Consiglio consultivo della Banca mondiale. La sua missione è quella esaminare i progressi e rimuovere i vincoli a favore dell’uguaglianza di genere nel mondo arabo e a livello globale. Anche per Enaam Suhail Al Barrishi, direttrice generale della Jordan River Foundation e donna di riferimento della casa reale giordana per il no profit e l’inclusione le donne in generale devono fare i conti con numerose difficoltà. «Un riferimento particolare però – sottolinea Al Barrishi – rivolgerò alle rifugiate dei campi profughi. Sono donne che sicuramente soffrono più di tutte le altre».
(Fonte: Ansa)
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