Ippodromo, l’ombra di Cosa nostra sulle corse dei cavalli «Se l’è preso Giuseppe Corona, c’aveva tutto in mano lui»

«Si sanno le cose quando uno si muove, quando uno è messo si dice: “l’ippodromo se l’è preso Giuseppe Corona”». Scommesse truccate e gare pilotate. Uno spaccato che in parte era già emerso nell’ambito dell’operazione Talea, confermando l’interesse del mandamento mafioso di Resuttana sull’ippodromo di Palermo, al centro di delicate indagini che avevano portato alla chiusura della struttura con una interdittiva antimafia emessa, il 7 dicembre 2017, dal prefetto di Palermo. L’11 dicembre 2017 è arrivato il provvedimento ministeriale che ha dichiarato decaduta la convenzione con la società, con effetto immediato. L’ippodromo era già stato chiuso a marzo 2017 fino al successivo mese luglio, quando il ministero ha concesso l’autorizzazione alla ripresa delle attività con una serie di prescrizioni per garantire la regolarità delle manifestazioni.

Dalle intercettazioni, e dai racconti dei pentiti, tra cui Vito Galatolo e Silvio Guerrera, era emersa la figura di Giovanni Niosi, che negli ultimi anni sarebbe stato delegato a gestire per conto di Cosa nostra tutti gli affari illeciti della struttura, occupandosi in particolare di pilotare e truccare le corse sulle quali l’organizzazione investiva proventi illeciti. Ora, un nuovo contributo arriva dalle indagini scaturite dall’operazione Delirio della Guardia di Finanza, che lunedì ha portato all’arresto di 28 persone scoperchiando la rete di nuove leve di Cosa nostra. E dove compare per la prima volta anche la figura di Giuseppe Corona. Un prestanome conteso da vari clan, organico a Cosa nostra, perché ritenuto «uno che ci sapeva fare», al punto da affidargli la gestione dell’ippodromo. Non era un mistero, infatti che Corona, occupandosi di agenzia di scommesse, specie nel settore dei cavalli, era interessato «alla sua gestione illecita».

Secondo gli inquirenti, infatti, Corona – i fatti si riferiscono a circa 4 anni fa – gestiva per Cosa Nostra «le gare truccate all’ippodromo conferendo all’organizzazione circa 3 mila euro al mese», come riferito dal collaboratore di giustizia Giuseppe Macaluso, anche «se poi cominciò a porre problemi per la consegna delle somme dicendo che qualche volta perdeva». Un altro collaboratore di giustizia, Giovanni Vitale, parlando con i pm della gestione delle corse, ha rivelato così che «c’aveva tutto in mano Corona». «L’ippodromo se l’è preso Giuseppe Corona» spiega Vitale chiarendo che Corona gestiva l’ippodromo per la famiglia mafiosa di Resuttana. «Quando dico gestire, intendo organizzare le corse da truccare, raccogliere i soldi da portare al capofamiglia per i carcerati e le loro famiglie».

Corona era molto impegnato, si occupava di molte attività, gestiva anche un centro ippico, una tabaccheria, un’agenzia di scommesse e persino un’officina auto. Parallelamente all’ippodromo, si interessava anche di corse clandestine, come rivela una conversazione tra Raffaele Favaloro – uno di fiducia del boss Vito Galatolo – e Croce Siragusa detto Salvo. Un giorno Favaloro si vede con Corona all’ippodromo, e contatta nuovamente Galatolo per informarlo di essersi allontanato e discute con lui di argomenti legati a scommesse ippiche, verosimilmente legate a corse clandestine. Favaloro chiede infatti a Siragusa: «L’accoppiata l’hai presa?… di cinquanta? Quanto ti è venuta? Centoventicinque… la pagava… pagava a ottocento…. Cento euro io», e Salvo, «va bene ok » e ancora «minchia abbiam preso ottocento euro», e salvo «mille e sei!», Raffaele «con centro euro?, salvo «con duecento». 

Ulteriore conferma che Favaloro avesse partecipato a scommesse di gioco di natura illecita, trova riscontro nella paura di essere intercettato o ripreso, al punto da temere di mettere piede all’ippodromo, come rivela in un’altra conversazione con Siragusa, dove ripeteva «partono le telecamere!». «Io non ci posso andare – diceva Raffaele riferendosi all’Ippodromo –  gli ho detto se vado là dentro mi arrestano! Gli ho detto ci siamo andati una volta e ci hanno accusato che scalò la quota… minchia te lo immagini?».

Antonio Mercurio

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