“Io, disabile, iscritto al collocamento e disoccupato”

Giorgio Agnello ha voglia di parlare, ha il desiderio di raccontare la sua storia di disoccupato senza risposte. Una storia di disperazione, purtroppo ordinaria in questa Sicilia, in una Palermo dove il lavoro è un miraggio per tanti che non riescono a trovarlo e per troppi che continuano a perderlo, mentre il precariato sembra già un traguardo da sognare e conquistare. In queste condizioni, anche trovare qualcuno disposto ad ascoltare, ti può dare l’illusione di aprire un piccolo varco per la speranza.

Agnello è un disoccupato iscritto dal 1996 nella lista delle categorie protette dell’ex ufficio di collocamento, dopo aver subito, nel 1986, uno shock mentre viaggiava in auto con un parente. Un avvenimento banale, che a soli 15 anni gli ha cambiato la vita: da allora, non è mai più riuscito a varcare i confini della città e a entrare in un’autostrada, ma, soprattutto, è stato costretto a ritirarsi dalla scuola e ha seguito le cure di uno psicanalista.

Frequentava l’istituto magistrale. Nel 1998 gli è stata diagnosticata una schizofrenia borderline. “Ho la terza media – racconta a Linksicilila – non sono mai stato un Lsu o un precario. Sono inserito in coda negli elenchi del collocamento obbligatorio previsto dalla legge 68/99. Quando arriveranno a chiamarmi per un posto di lavoro?”.

Adesso, Agnello ha 41 anni, vive con un assegno erogato dalla Prefettura di appena 280 euro al mese per un’invalidità dell’80 per cento. Abita con la madre, che ha 75 anni e che riscuote la pensione di reversibilità del marito, un artigiano morto 5 anni fa. Sono altri 500 euro o poco più, ma di affitto della casa pagano 600 euro al mese.

Fatti due conti elementari, madre e figlio devono vivere con meno di 200 euro ogni mese.

“Ci aiutano i parenti – racconta Agnello – ogni tanto vado da Biagio Conte. Una volta mi sono rivolto a un monastero di suore che mi conoscevano, ma mi hanno detto che non potevano aiutarmi, che dovevo rivolgermi ad altri”.

Agnello ha un fisico imponente e la faccia buona. Non ha lo sguardo di chi è arrabbiato con una vita avara di concessioni, ma gli occhi miti, di chi ringrazia anche soltanto perché lo stai ad ascoltare. “Ho fatto tanti lavori, mi sono sempre dato da fare”, ci dice. “Ho fatto il garzone in alcuni piccoli negozi. Per cinque anni ho lavorato in una piccola officina metallurgica, dove facevo di tutto, dal manovale all’addetto alla parte logistica. Poi, tutto è finito per alcuni screzi con il titolare: sono nati problemi per motivi di interesse e si sono rotti pure i rapporti personali”.

“Ho anche preso la licenza di venditore ambulante – aggiunge -. Vendevo detersivi e abbigliamento. Poi ho dovuto smettere, stritolato dalle tasse. Dal 2002 non lavoro più. Per lo stress ho pure subito un’emiparesi facciale, ma ora tutto è superato. Però, non riesco a trovare un lavoro”.

Ci racconta di aver seguito tutte le strade per rientrare nel mercato del lavoro e di aver cercato qualche scorciatoia, come tanti fanno, per necessità, in Sicilia. “Ho partecipato al progetto InLa, quando è partito, ma non mi hanno mai chiamato. Mi sono rivolto pure a qualche politico, ma senza risultati. Ho fatto le visite mediche per l’iscrizione al collocamento. Hanno scritto che possiedo capacità lavorative che possono essere integrate attraverso politiche attive del lavoro. Non sono un Lsu, non sono un ex detenuto. Sono iscritto nelle categorie protette, voglio lavorare, ma quando arriveranno a me? Mi piacerebbe fare un lavoro all’aperto. Come giardiniere, per esempio. Eliminare le erbacce, tenere puliti i terreni, fare un lavoro utile, insomma”.

Le statistiche raccontano come, in Sicilia, sia difficile che una azienda assuma un lavoratore disabile o iscritto nelle categorie protette, nonostante il rischio di penali. Allora, per molti, troppi, la vita da precario al servizio di qualche pubblica amministrazione diventa l’unica possibilità, l’unica chance da inseguire.

“Io – si sfoga Giorgio Agnello – ho il rimpianto di non avere cercato di inserirmi in qualche cooperativa sociale per disoccupati per diventare Pip o Lsu. Adesso anche loro hanno problemi, ma se sono preoccupati quelli di Gesip e gli altri precari, io sono messo peggio di loro. Almeno, loro hanno un appiglio”.

“Ogni tanto – confida Agnello – mi sveglio con un senso di oppressione. Perché vorrei fare di più, per mia madre, ma anche per me stesso. Passo la mia giornata facendo un po’ di spesa per mia madre, andando a incontrare gli amici in un’officina vicina a casa mia”.

In queste condizioni, il futuro non è soltanto un’incognita, è una dimensione che non si riesce nemmeno a concepire nel proprio pensiero. L’unica dimensione possibile, è quella del presente. “Cosa vedo nel mio futuro? Ma io non mi ci vedo proprio proiettato nel futuro…”.

 

 

Stanislao Lauricina

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