Intervista a David Lloyd, creatore di V per Vendetta «Oggi Isis e migranti usati per fomentare la paura»

Lei ha lavorato con grandi firme quali Alan Moore e Grant Morrison. Qual è la più grande difficoltà che ha riscontrato nel lavorare con uno scrittore e quali sono, invece, gli aspetti che apprezza di più in uno sceneggiatore?

«Ogni scrittore ha le proprie peculiarità e il proprio modo di lavorare. Alcuni ti forniscono il testo completo, dove ogni passaggio è descritto, il disegnatore produce la struttura grafica e i dialoghi verranno inseriti successivamente. Alcuni non amano questo tipo di lavoro perché sentono di perderne il controllo. Uno degli scrittori con cui ho lavorato che apprezzava, invece, questo stile era Jamie Delano. Ho avuto solo un’esperienza negativa per quanto riguarda le mie collaborazioni, per il resto ci sono scrittori più descrittivi, altri meno».

Dodici anni fa faceva la sua apparizione sul grande schermo la trasposizione cinematografica del suo capolavoro V per Vendetta. Cosa pensa sia andato perduto del messaggio dell’opera originale o cosa pensa abbia guadagnato? Cosa rappresenta oggi la maschera di Guy Fawkes?

«Credo che l’immagine della maschera abbia oggi una propria forza nel mondo reale. Rappresenta probabilmente l’opposizione alle tirannie. Quindi chiunque la usi, in qualsiasi forma, qualsiasi organizzazione lo fa come simbolo di protesta e di resistenza. Il messaggio principale del libro per me è l’individualità – tema che rappresenta un tratto d’unione con il film – la capacità di non perdere e non sacrificare il proprio pensiero a favore di un pensiero di massa che è un po’ il problema di questa società. Le popolazioni, per come la vedo io, sono composte da pecore che aspettano di essere guidate. L’anarchia quindi nel libro è un tema centrale. Ho un dubbio su come possa essere applicata poi nella vita reale, ma è stata fonte di ispirazione».

Il libro è stato quindi un veicolo per amplificare questo messaggio?

«Decisamente! Il libro è stato pubblicato in diverse lingue ed è presente in tantissime librerie del mondo. Un film però è ovunque. Mi ritengo soddisfatto e orgoglioso quindi che esso abbia aiutato a far passare certi messaggi, anche verso chi magari non ha l’abitudine della lettura. Ma è stato utile anche per la diffusione del libro. Molti infatti intrigati dal film hanno deciso di leggerlo ed è stato un piacere anche solo averne fatto parte».

Cosa pensa di 1984 di George Orwell e della sua graphic novel?

«Entrambe le storie sono oggi ancor più rilevanti dato il grande numero di dittature presenti nel mondo, e non parlo solo di quelle nelle loro forme più riconosciute. Sono importanti perché raccontano che esistono tanti modi in cui questa società può essere corrotta. Come per esempio avvenne nella Germania degli anni trenta, la popolazione soffriva per una dura inflazione e a causa della disoccupazione di massa, erano quindi alla ricerca di un salvatore. E tutti abbiamo poi visto chi hanno trovato. In quel periodo molte persone erano propense a seguire argomenti duri, anche questo spiega, per esempio, il successo di Mussolini. Credo che questa tendenza alla ricerca del leader forte sia una caratteristica dei nostri giorni, succede in America, è quasi successo in Francia. Ritengo spaventoso il modo in cui i cittadini vengano manipolati dalla paura che i governi instillano in loro. Credo che quello che sta avvenendo anche nel mio paese, con l’Isis, sia funzionale a questo meccanismo».

A tal proposito, abbiamo assistito alle terribili notizie sugli attentati in Inghilterra. In relazione alla sua riflessione sui governi e sul loro controllo della popolazione, come pensa si possano conciliare oggi sicurezza e libertà?

«La sicurezza potrebbe sempre essere un’ottima cosa in una democrazia, il problema si pone quando sono i regimi totalitari ad amministrarla, le dittature amano le telecamere e la sorveglianza. Danno il controllo della situazione. La sorveglianza sopprime i raduni, i movimenti, e se ci fate caso, storicamente, una delle prime cose che un regime fa è quello di impedire che le persone si riuniscano. Abbiamo due facce della stessa medaglia, è complicato stabilire quando le telecamere garantiscono la nostra sorveglianza e quando invece limitano la nostra libertà. Sappiamo che sono l’occhio del governo ma sappiamo anche che in molti casi sono servite a trovare criminali. Non c’è una semplice risposta a questa domanda, quello che è importante è vigilare su questi governi e impedire la loro deriva fascista, soprattutto quando usano uno spauracchio come l’Isis per la loro propaganda. Un po’ quello che sta accadendo con i migranti utilizzati anche essi come strumento per la paura collettiva».

Alexander Beraki

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