Il processo Ippocampo entra nel vivo. Alla sbarra c’è colui che è considerato il capo del clan mafioso dei Carcagnusi. Si tratta di Nuccio Mazzei, catturato dopo mesi vissuti da latitante, in una villetta di Ragalna, alle pendici dell’Etna. Imputato è anche il figlio Santo, entrambi sono stati coinvolti nell’inchiesta della Direzione investigativa antimafia e dei carabinieri che nel 2014 culminò con il blitz Ippocampo. Lo stesso nome del villaggio turistico di via Pesce dorato a Catania dove Mazzei avrebbe gestito affari e intrattenuto rapporti con la sua cerchia di uomini. Seduti, dietro le sbarre di una cella di sicurezza dell’aula Santoro di via Crispi, ci sono Gaetano Pellegrino – fratello del consigliere comunale Riccardo, finito al centro della relazione della commissione antimafia regionale – e Gioacchino Intravaia. I due, che secondo i pm sarebbero dei fedelissimi del capomafia, assistono all’udienza sotto l’occhio di numerosi familiari che affollano l’udienza. Una presenza che viene interrotta quando la corte, presieduta dal giudice Rosario Grasso, si ritira per una pausa. «Ci sono state comunicazioni non autorizzate», è la spiegazione che fornisce la magistrata Tiziana Laudani. Con la promessa di rientrare in religioso silenzio, il gruppo poco dopo viene fatto riaccomodare. Da ascoltare c’è la deposizione del maggiore Antonio Strameni. Uno degli investigatori che ha curato l’intera indagine.
«Tutto inizia nel 2010 con alcune intercettazioni telefoniche», spiega il testimone. Centinaia di chiamate, spesso effettuate con schede sim intestate a extracomunitari. «Dall’inizio abbiamo percepito che Mazzei era contornato da persone con le quali intratteneva rapporti ambigui». Uno dei nomi che le labbra del maggiore pronunciano con più frequenza è quello di Mario Pappalardo. Ufficialmente commerciante in un negozio di telefonia a Misterbianco, ma in realtà, almeno secondo l’accusa, gestore degli affari della cosca, in particolare quelli legati al traffico di droga. Gli affari non si sarebbero limitati all’area etnea ma si allargavano anche tra Centuripe e altre zone della provincia di Enna.
Tra i dettagli che vengono sviscerati dall’investigatore ci sono anche una serie di presunte intestazioni fittizie. Dietro alcune teste di legno avrebbe celato i suoi affari il cognato del Carcagnuso. Gioacchino Intravia, quarant’anni, assiste alla deposizione alternando sorrisi a sguardi straniti. Indossa un paio di jeans, scarpe scamosciate di colore grigio e un giubbotto blu, che rimane per tutta l’udienza abbottonato, per ripararsi dagli spifferi freddi che arrivano da una botola in plastica, installata sul tetto dell’aula. «Aveva interessi diretti nell’agriturismo Agribagnara nel quartiere San Giorgio», spiega il testimone. Una presunta gestione occulta che sarebbe stata effettuata tramite le associazioni G.I.O.M.A.R e M&G turismo club. «Si occupava anche della gestione della cassa e delle serate». Una di questa finisce sotto monitoraggio delle forze dell’ordine: «Nel locale è stato festeggiato il diciottesimo compleanno di Santo Mazzei, figlio di Nuccio – spiega Strameni -, c’erano circa 300 invitati e un servizio di vigilanza che controllava».
Una delle chiavi del processo sarà sicuramente quella delle intercettazioni. Per capirlo basta ascoltare le parole che in aula pronuncia l’avvocato Francesco Antille, difensore con Salvo Pace, di Nuccio Mazzei: «Abbiamo notato che diverse telefonate potrebbero stare fuori dal dibattimento perché non attinenti al processo». L’elenco, raggiunto l’accordo con l’accusa, verrà quindi rivisto e scremato per poi essere trascritto da tre periti ai quali è stato conferito l’incarico. A partire dal 15 febbraio avranno 90 giorni di tempo per la deposizione della perizia. Un termine che potrebbe essere anche minore in relazione a quanti progressivi verranno eliminati.
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