In Libano tra gli echi delle rivolte siriane

In Libano l’alto livello di instabilità è quasi normale. Ultimamente la situazione interna risente dei problemi che oggi travagliano la confinante Siria, dato che il Paese ha sempre preso posizioni altalenanti nei confronti del governo di Damasco: così, gli echi delle rivolte contro il regime di Assad si fanno sentire, da mesi, in tutto il Paese.

Foto di Giulia Raciti - Gigantografia di Assad nel quartiere di Jebel Moisen

L’ondata di profughi siriani, che cercano protezione dalla repressione del regime al quale si oppongono, si sta facendo, da qualche mese a questa parte, sempre più consistente: basti pensare che è stato già allestito un campo di emergenza a Wadi Khaled (Akkar) che accoglie tra le 3.500 e le 5.000 persone.
Una tendopoli comprendente circa 200 tende è in espansione sulla costa a pochi chilometri dal confine della Siria e sembrerebbe ospitare circa 1.500 profughi che non hanno trovato sistemazione presso familiari già istallati in Libano.
Oltre alla lunga schiera di baracche già abitate, si notano delle tende in via di costruzione: questa tendenza di estensione è la testimonianza che indica che il problema dei profughi non va scemando ma, al contrario, sembra possa raggiungere dimensioni ancora più preoccupanti nelle prossime settimane.
Le condizioni igieniche pessime e la scarsissima disponibilità di alimenti creano situazioni disperate, in questi campi che sono dei veri e propri alloggi di fortuna. Siamo davanti a un’emergenza umanitaria.
Si è inoltre notato l’uso di piccole imbarcazioni, comunemente usate per la pesca artigianale, per il trasporto clandestino di profughi verso questo lato della costa libanese: un’alternativa che permette di evitare i controlli di frontiera posti a circa una decina di chilometri dalla tendopoli.

Il Libano si divide tra coloro che appoggiano le posizioni siriane, i quali rifiutano l’entrata nel Paese dei profughi in fuga, e coloro che invece, attraverso vaste manifestazioni di piazza (come quella che ha avuto luogo il 14 novembre scorso presso Tripoli) denunciano il regime di Assad, esprimendo solidarietà con la ricerca di rifugio da parte degli oppositori.

Foto di Giulia Raciti - La tendopoli dei profughi siriani

L’esercito siriano tenta così di contenere la fuga di profughi distruggendo ponti, aumentando il numero dei checkpoint e piazzando mine antiuomo sul territorio di frontiera tra i due Paesi per una lunghezza di circa 370 chilometri: operazione che ha già causato diverse vittime tra libanesi e profughi siriani.
Un altro fattore non superficiale, che aumenta ancor più lo stato di allerta all’interno del Paese, è che in Libano, nella zona settentrionale in particolare, sono presenti consistenti comunità alawite che appoggano il regime siriano. Si tratta dell’unico regime arabo alawita: a Tripoli il dato stimato di presenza della comunità alawita nel quartiere di Jebel Moisen (a pochi chilometri a nord di Tripoli), è di circa 50.000 persone, rispetto ad una popolazione totale di Tripoli-città di 180.000.
In Jebel Moisen, la “cittadella militare”, la consistente presenza di alawiti sostenitori del regime si nota dal gran numero di manifesti e gigantografie affissi per le strade e sui palazzi, inneggianti a Bashar Al Assad, elogiato come “guida degli arabi”.
Questa presenza ha dato il via ad una lunga serie di scontri a fuoco tra i residenti alawiti e squadre armate di sunniti e falangisti maroniti, scontri che hanno causato almeno 26 vittime.

Foto di Giulia Raciti - L’ imbarcazione di fortuna per il trasporto clandestino

In questo scenario non è ben chiaro quali siano le intenzioni vere e ufficiali del Libano riguardo la situazione siriana: le già citate posizioni diverse all’interno del Paese diventano ancor più difficilmente distinguibili quando si prende in considerazione la recente decisione della Lega araba di escludere la Siria dalla sua membership. Il Libano è stato uno dei soli due Paesi che ha votato contro la decisione di esclusione della Siria: in un recente dibattito, l’ex primo ministro Said Hariri ha affermato, tuttavia, che “il voto a favore del mantenimento della Siria nella Lega Araba non è stato lo specchio della volontà libanese, ma piuttosto una posizione presa da Hezbollah e dal governo del primo ministro Miqati”.
Questo crea in seno al Libano un’ulteriore divisione, una vera e propria spaccatura, quasi una crisi istituzionale interna. E’ per tutti questi motivi che il Libano sembra essere ancora una volta un Paese in bilico sul filo del rasoio.

 

 

Giulia Raciti

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