Il XXI secolo secondo i Green Day

Correva l’anno 2004 quando i Green Day decisero di regalare al mondo quello che da lì a poco sarebbe diventato il loro capolavoro, ovvero America Idiot. Da quel giorno in poi, il trio californiano non fu più lo stesso: da paladini del punk rock pret-à-porter i tre si trasformarono in band politicamente impegnata tra raccolte di beneficenza, inni anti-Bush e una manciata di milioni di copie vendute.

Un gioco da ragazzi? Non proprio, visto che la credibillità della band era stata più volte minacciata da quello che sembra essere lo spauracchio di ogni rockstar ovvero il successo commerciale. S’allontanava insomma l’utopica accoppiata dischi d’oro – qualità artistica. Ma intenti nella loro missione di nuovi portavoce della stanca generazione mediatica americana, Billie-Joe Armstrong, Mike Dirnt e Trè Cool, hanno lasciato al fato ogni polemica continuando imperterriti nella loro nuova direzione, lasciando i fan in attesa per ben cinque lunghi anni.

Finché quel giorno, quel fatidico giorno è arrivato. Corre l’anno 2009, ed i Green Day regalano al mondo un nuovo capolavoro: 21St Century Breakdown, e questa volta non si fermano ad un semplice presidente ma puntano il dito contro l’intero ventunesimo secolo. La chiesa e la sua ipocrisia fatta di dogmi, la nuova classe politica, il caos che regna, il senso di non appartenenza delle nuove generazioni, tutti temi ‘canzonati’ in quest’album che si presenta come una rock-opera. Suddiviso in tre atti, Heroes and Cons, Charlatans and Saints e Horseshoes and Handgrenades, l’album  ruota attorno alle vicende di Christian e Gloria, due giovani innamorati, che sperduti nel crollo di questo ventunesimo secolo, tentano di trovare l’uno nell’altro quella speranza di un mondo migliore che in una nuova prospettiva ottimistica, aleggia per tutto l’album.

Se in America Idiot era la protesta a farla da padrona, in 21St century breakdown la voglia di non rassegnarsi, il desiderio di ritrovare un’identità per uscire dal silenzio di una generazione spenta evitando di affondare nel collasso mondiale, sono le tematiche principali.-“My generation is zero I never made it as a working class hero”, canta Billie-Joe nella title track 21St century breakdown, ed effettivamente il punto forte di quest’album sono proprio i testi; Billie-Joe si riconferma un gran paroliere che giocando con sarcasmo ed irriverenza, offre una prospettiva critica dei problemi di oggi senza mai scadere nella banalità. Una ricerca musicale, che già faceva capolino in America Idiot, è fortemente presente in quest’album prodotto non a caso da Butch Vig (l’uomo che produsse “Nevermind” dei Nirvana, ndr.), ed ecco che entrano in scena falsetti e pianoforte elementi sconosciuti ai Green Day prima di questo lavoro. La gia’ citata “21St century breakdown” è stata definita la Bohemian Rhapsody dei Green Day a causa dei continui cambi di ritmo presenti nella canzone; ”Peacemaker” con i suoi toni latineggianti sembra uscita dritta da un film di Tarantino, mentre “Last Night On Earth”sembra rubata da Abbey Road dei Beatles.

Naturalmente c’è anche spazio per un po’ di Green Day old school, quel poco che basta a renderli riconoscibili: pezzi come “21 Guns” o “Know your enemy” difficilmente deluderanno i fan affezionati ai suoni degli album precedenti. Unire il vecchio al nuovo, la speranza alla lotta: ecco, quale nuova missione hanno deciso di sposare i Green Day, sfidando e superando i propri limiti e quelli degli scettici ascoltatori. Si, saranno pure commerciali. Beh, e allora?

Caterina Mauro

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