Il watchdog e lo stregone della notizia

Il rapporto ambiguo che si sviluppa tra il potere politico e i giornali è stato il tema dell’incontro “Media e potere” svoltosi all’interno del Festival internazionale del giornalismo di Perugia, che ha visto contrapporsi due figure di fama mondiale: Carl Bernstein (giornalista che assieme a Bob Woodward ha portato alla luce sul Washington Post il caso Watergate spingendo alle dimissioni il presidente americano Richard Nixon nel 1972) e colui che è considerato il più temibile degli spin doctor, Alastair Campbell (chief press secretary dell’ex Primo ministro britannico Tony Blair).

A moderare l’incontro è stato chiamato Angelo Mellone, editorialista de “Il Messaggero”, con gli interventi dell’inviato speciale de “Il Giornale” Marcello Foa che ha scritto il libro “Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq: come si fabbrica informazione al servizio dei governi” (2006).

 

Il dibattito ha inizio con una domanda riguardante lo stato di salute del giornalismo. Mellone si rivolge a Carl Bernstein chiedendogli come il giornalismo sia cambiato dopo l’attentato alle torri gemelle a New York: “Si è assistito ad una crisi del giornalismo americano? È in uno stato di debolezza nei confronti delle istituzioni?” L’editorialista del Messaggero fa riferimento soprattutto alla guerra in Iraq e alla politica estera del governo Bush. Bernstein afferma che il ruolo che il giornalista deve assumere è quello del buon ascoltatore. Il giornalista ha il compito, quindi, di ottenere giorno per giorno attraverso uno sforzo costante la migliore versione ottenibile della verità: deve – in poche parole – bussare alle porte ed essere attivo. Per ciò che riguarda il presidente americano George W. Bush e le sue menzogne “queste cose le sappiamo grazie alla stampa e non ai portavoce dei politici”. Il grande fallimento della stampa americana, continua Bernstein, si è visto dopo l’entrata in guerra dietro la presunta costruzione di armi di distruzione di massa ad opera del governo iracheno. “Si sapeva che non vi era nessun collegamento tra l’attentato dell’11 settembre e l’Iraq”. Secondo il giornalista bisogna fare – però – una precisazione: ovvero che i portavoce e gli spin doctor non sono da considerarsi come mentitori e portatori nefasti di notizie: “Loro spiegano a noi come funziona la politica del governo. Siamo noi ad essere pigri ed a non interpretare la notizia che viene data”.

 

La figura dello spin doctor è quindi vista in un’accezione negativa: controlla e manipola la notizia. “Il giornalista deve fare il proprio lavoro, così come il portavoce deve portare avanti e perseguire il proprio caso” afferma Alastair Campbell, “ma non è né legittimo né lecito mentire ai media perché si mente inevitabilmente al pubblico”. Lo spin doctor porta avanti gli interessi del proprio “assistito”, ma spesso anche i giornali non sono da meno. Campbell infatti parla di un gioco al massacro attuato a volte dagli stessi giornalisti “perché ci si dimentica che i politici sono esseri umani e quindi possono commettere errori, e quando questo succede si parla subito di scandalo”.

 

Di idea contraria è Marcello Foa il quale sostiene che gli spin doctor mentono condizionati dai politici che loro seguono: “Con i portavoce le menzogne sono aumentate; conoscono il modo di pensare dei giornalisti” e quindi sanno come dare una notizia ed eventualmente “addolcire la pillola”.

 

Secondo Carl Bernstein il problema non risiede nell’invenzione di questa nuova figura: il giornalista sottolinea il fatto che oggi chi fa questo mestiere è tendenzialmente pigro: “Il problema è la pigrizia della nostra volontà di ottenere la migliore versione possibile della verità. Oggi – all’interno dei giornali – si parla di bilanci, di entrate e di uscite, di soldi”. Non è quindi possibile dare interamente la colpa ai portavoce che “mentono perché il loro riferimento mente. Ci sono, però, anche molte persone degne di fiducia; di certo questo non si può dire per quelli di Bush”.

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