Dal punto di vista dei numeri, non cè ragione di lamentare “invasioni” di rom e sinti nel nostro paese. Piuttosto sono assai problematiche le politiche adottate per la gestione di queste minoranze. Nel migliore dei casi si sono allestiti i campi nomadi, diventati oggi un aspetto saliente del problema. Servono invece soluzioni abitative plurime, negoziate con i diretti interessati e con le comunità locali. E progetti più ampi, con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei destinatari, la condivisione di regole, la presenza di figure di mediazione e accompagnamento.
Secondo le ultime stime disponibili, di Caritas-Migrantes, in Europa vivono allincirca 9 milioni di rom e sinti, di cui meno di 2 milioni nellEuropa Occidentale. Tra i paesi più interessati dal fenomeno, troviamo la Spagna con una popolazione compresa fra le 650mila e le 800mila unità, la Francia con valori stimati tra 280mila e 340mila, la Grecia, tra 160mila e 200mila.
Per lItalia, i dati si attestano intorno alla cifra di 120-150mila unità, e dunque pur aggiungendo un incremento in seguito allingresso nellUnione di nuovi paesi membri come Bulgaria e Romania, dal punto di vista quantitativo, il nostro paese non avrebbe molti elementi di fatto per lamentare uninsopportabile invasione delle minoranze più stigmatizzate dEuropa.
Sarebbe bene, fra laltro, parlarne al plurale, giacché si tratta di un mosaico di popolazioni per molti aspetti diverse: nazionalità, data di arrivo, religione, e così via. Quasi la metà, oggi, è presumibilmente in possesso della cittadinanza italiana, a volte da secoli; laltra parte, è composta da gruppi stratificati per titoli di soggiorno e dotazione di diritti, con una cospicua quota di neo-comunitari, insieme a rifugiati, apolidi, stranieri in possesso o meno di permesso di soggiorno. Anche letichetta nomadi traduce più un pregiudizio che una situazione di fatto: solo una minoranza, compresa tra il 15 e il 30 per cento, conduce ancora una vita itinerante; molti non sono più nomadi da tempo, o non lo sono mai stati.
IL (NON) GOVERNO DELLA QUESTIONE
Il caso italiano si rivela invece assai problematico se prendiamo in considerazione le politiche indirizzate alla gestione delle popolazioni rom e sinte. Qui due considerazioni si impongono.
1) Come ha ricordato nellautunno scorso Barroso, a nome dellUnione europea, lItalia non ha richiesto fondi comunitari per realizzare politiche rivolte a rom e sinti, a differenza della Spagna e di altri paesi. Del resto, si potrebbe chiosare, in varie regioni nel passato i fondi disponibili non sono stati richiesti dai comuni, per nulla intenzionati a realizzare strutture daccoglienza o altri servizi per questi scomodi vicini di casa.
2) La misura più diffusa, nei casi benintenzionati, per intervenire sulla domanda abitativa di queste minoranze consiste nellallestimento dei cosiddetti campi nomadi, che col tempo però da soluzione sono diventati un aspetto saliente del problema. Per citare solo una delle molte critiche avanzate da istituzioni internazionali, il comitato delle Nazioni Unite sulleliminazione della discriminazione razziale (Cerd, Committee on the Elimination of Racial Discrimination), aveva notato nel 1999: In aggiunta alla frequente mancanza dei servizi di base, labitare nei campi porta non solo alla segregazione fisica della comunità rom dalla società italiana, ma anche allisolamento politico, economico e culturale.
Lemergenza rom di oggi, e la percezione diffusa di insediamenti selvaggi e minacciosi, ha dunque a che fare con il mancato governo della questione, con la carenza di investimenti appropriati, con linsistenza su misure ghettizzanti e stigmatizzanti. Nella maggior parte dei casi, si è preferito ignorare il problema, sperando che rom (e sinti) andassero ad accamparsi in un altro comune. Alla fine, il sonno della politica si è ribaltato nella politicizzazione dal basso della questione, con le rivolte dei residenti, gli incendi dolosi e la caccia a donne e bambini terrorizzati: prima dei fatti di Napoli, ricordiamo quelli di Opera.
Malgrado lopinione diffusa, espellere i rom è tuttaltro che semplice, salvo violare norme europee e garanzie costituzionali. Basti pensare allalto numero di minori. Neppure sgomberi e allontanamenti risolvono il problema: si limitano a spostarlo, o a riprodurlo in maniera ancora più precaria e derelitta.
Daltronde, anche affrontare largomento nominando un commissario per i rom suona in maniera inquietante, perché individua una minoranza etnico-linguistica come destinataria di misure ad hoc.
AL DI LÀ DEI CAMPI
Il conflitto apparentemente insolubile tra popolazione maggioritaria e installazione di gruppi rom e sinti in appositi campi richiede di spostare la discussione su un altro piano, ponendo a tema il superamento o almeno la flessibilizzazione della forma-campo, inteso come insediamento eterodiretto, numeroso, istituzionalmente controllato, di fatto permanente, collocato ai margini dei contesti urbani, scollegato da interventi adeguati di integrazione e promozione sociale. Servono invece soluzioni abitative plurime, negoziate con i diretti interessati e con le comunità locali. Servono poi progetti più ampi, che comportino il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei destinatari, la condivisione di regole, la presenza di figure di mediazione e accompagnamento. Serve la repressione dei comportamenti illegali, senza criminalizzazioni collettive e pregiudiziali. Serve limpegno di associazioni e operatori dotati di competenze specifiche. Serve linvestimento in progetti di avvio al lavoro e alla microimprenditorialità.
Il 2008, anno europeo contro le discriminazioni, è cominciato male e continuato peggio, ma potrebbe ancora conoscere uno scatto dorgoglio, o meglio, di aderenza ai valori della nostra civiltà.
[Quest’articolo è stato pubblicato sul sito www.lavoce.info]
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