Il tramonto della Cassata siciliana

Ricotta liofilizzata. Canditi industriali. Pasta di mandorle colorata di verde, con il ‘ricordo’ del pistacchio di Bronte. Benvenuti nel mondo della Cassata siciliana stravolta dalla miseria del nostro tempo, con buona pace di Salvatore Gulì, che alla fine dell’800 portava nelle più importanti Capitali d’Europa la grande pasticceria siciliana. Era la Palermo della Bella Epoque. Altri tempi.

Giudizio un po’ troppo severo? Niente affatto. Magari ci saranno ancora le pasticcerie che si cimentano con la vera Cassata siciliana. Ma quante sono? Ne parliamo oggi perché la Cassata è legata alla rinascita del Sole, al 21 marzo, in una parola, alla Primavera.

Cominciamo con la ricotta. Che in una Cassata deve essere di pecora. Dove sono, ormai, queste pecore in Sicilia? A furia di massacrare l’agricoltura, abbandonando gli allevatori a se stessi, anzi impoverendoli con tasse di tutti i tipi bisogna cercarle con il lanternino. Ormai incontrare un gregge di pecore per le strade della Sicilia è sempre più raro. (a sinistra, foto tratta da tanogabo.it)

E’ inutile che ci prendiamo in giro: non si può abbandonare la zootecnia, lasciandola nelle mani di una miope Unione Europea e di una politica siciliana rapace e inconcludente e poi pensare che nelle pasticcerie siciliane – anche nelle più rinomate – ci possa essere ricotta di pecora in quantità industriale. Forse nei piccoli centri la ricotta di pecora si trova. Ma in una grande città potrebbe diventare un problema.

Dunque, quando andiamo ad acquistare una Cassata la prima domanda che ci dobbiamo porre è: mangeremo crema di ricotta di pecora?

Poi c’è la composizione della stessa crema di ricotta. Per comporre una buona Cassata dal peso di un chilogrammo e mezzo occorrono da 650 a 700 grammi di ricotta. Spiace scrivere queste cose, ma spesso i pasticceri, per risparmiare, riempiono la crema di ricotta di zucchero e di crema di latte.

Risultato: risparmiano (zucchero e crema di latte costano molto meno della ricotta), ma la qualità della Cassata si abbassa. Anzi, usiamo le parole giuste: diventa scadente. Chi conosce la Cassata e i suoi sapori ‘sgama’ il trucco’ sin dal primo boccone. Con la ricotta non si può sbagliare. (a destra, foto tratta da icitta.it)

Il Pan di Spagna non dovrebbe creare problemi (almeno questo!). Anche se c’è chi – udite! udite! – utilizza quello industriale per risparmiare tempo e soldi. Idem per il cioccolato (che dovrebbe fondente con almeno il 60 per cento di cacao).

Ma il vero dramma della Cassata del nostro tempo è rappresentato dalla frutta candita, ormai quasi tutta industriale (e quasi tutta senza sapore, per non dire altro…).

La canditura della frutta, in Sicilia, ha una tradizione antica. E’ un procedimento laborioso che a Palermo, prima dell’avvento del già citato celebre pasticciere, Salvatore Gulì, era, per lo più, appannaggio delle monache (uno dei monasteri più rinomati per la canditura della frutta era .il Monastero del Cancelliere).

La canditura non è altro che una cottura della frutta in sciroppo di glucosio. Le monache di Palermo erano delle vere e proprie ‘artiste’ della canditura. Un procedimento che può durare da sette a dieci giorni (esiste anche un procedimento rapido che dura tre giorni: ma non dà un risultato pregevole).

Allora venivano candite le arance, i limoni, i mandarini, il cedro (questo frutto candito era particolarmente ricercato), le pere, i fichi. Quindi le zucche rosse e verdi.

La canditura della frutta, nella Palermo a cavallo tra la fine dell’800 e i primi del ‘900, era considerata importantissima. Un’arte, appunto. I nobili della città non avrebbero mai mangiato i canditi fatti in pasticceria: per loro i canditi erano solo quelli fatti dalle monache.

Salvatore Gulì, forse il più grande pasticcere della storia di Palermo e della Sicilia, ‘ruba’ il mestiere alle monache e inventa la Cassata siciliana.

Si racconta che nei suoi laboratori c’era chi si occupava esclusivamente di candire la frutta. Ed è lui che, alla fine, con la sua Cassata, comincia a conquistare i cuori, anzi, i palati dei nobili della città.

Cos’è rimasto, oggi, della canditura delle monache e di Gulì? La sensazione, oggi, è che a prevalere siano i canditi industriali. Quelli che rimangono attaccati ai denti, come chewing gum, sono canditi industriali. Nulla a che vedere con la frutta candita artigianalmente. (foto tratta da anticacompagniasiciliana.com)

Ora i pasticceri diranno che non è vero, che anche loro passano da sette a dieci giorni a candire la frutta e bla bla bla. Hanno ragione? Hanno torto? Esiste, come dire?, la prova del nove. Basta assaggiare un candito fatto con procedimento artigianali..

Provate: vi accorgerete che la frutta candita artigianalmente ‘squaglia in bocca’ e conserva una fragranza inimitabile. Nulla a che vedere con i canditi industriali trattati, per altro, con i conservanti chimici E 220 ed E 229 e, soprattutto, anidride solforosa.

Per completare, c’è la copertura della Cassata che, a Palermo, prevede l’alternanza delle bande bianche e verdi. Le bande bianche sono fatte di Pan di Spagna glassato di zucchero; le bande verdi sono il frutto di pasta di mandorla mischiata con pasta di pistacchio di Bronte.

Perché di Bronte? Semplice: perché è l’unico pistacchio al mondo di colore verde. Unico. Inimitabile. Un prodotto che tutti ci invidiano. Un gioiello dell’agricoltura siciliana che solo la politica delle nostre parti non è riuscita a valorizzare. Anzi, di farla precipitare in una pesante crisi. Incredibile.

Siamo sicuri che nelle Cassate che acquistiamo oggi il verde della pasta di mandorla sia dato dalla presenza di pistacchio di Bronte? O, forse, la pasta di mandorle diventa verde grazie ai coloranti?

Ancora: siamo sicuri che la pasta di mandorle è fatta con le mandorle siciliane? Sbagliamo, o anche la mandorlicoltura siciliana è in crisi? Si offende qualcuno se ipotizziamo che anche la pasta di mandorla viene prodotta con mandorle che arrivano da chissà dove?

Ancora: la pasta di mandorle è fatta come prescrive la ricetta, cioè impastando la farina di mandorle con acqua? O, anche in questo caso, la pasta di mandorle viene fatta sostituendo farina di mandorle con zucchero?

Ultima domanda: quanto dovrebbe costare una Cassata prodotta con ricotta di pecora senza zucchero in eccesso, senza crema di latte, con la frutta candita artigianalmente, con la pasta di mandorla mescolata con la pasta di pistacchio di Bronte? Forse un po’ di più di quanto costa oggi.

E allora? E allora buona notte, Cassata siciliana!

 

Redazione

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