Il Sessantotto di David Pajo

DAVID PAJO  

“1968”  

(Drag City)  

2006 

 

E basta col ricordare il curriculum vitae di David Pajo. Basta rimpiangere inutilmente il suo fondamentale contributo al genio di band come Slint, Tortoise o all’apporto esterno per qualche disco di Mogwai, Matmos, Stereolab. Basta con l’aspettarsi chissà quali trame, quali sonorità, quale slancio, quale concetto. David Pajo ha deciso di crearsi un cantuccio tutto suo, un posto dove scrivere le sue canzoni ammaccate dal tempo e ingiallite dalla ruggine. Ballate a metà tra il country e il folk; canzoni sussurrate, masticate, suonate a punta di piedi accostando la porta per non svegliare chi dorme, anzi, per conciliare il riposo, magari del primo pomeriggio. I più maligni diranno: “pensa che noia sto Pajo!”, beh ognuno la prenda come vuole, ma scrivere un disco che abbia in sé ancora qualche sentimento legato al ricordo, alla serenità e al rispetto di se stessi, non è assolutamente, né facile né frequente tra il baccano delle uscite discografiche d’oggi.

 

1968 si pone come perfetto sequel di quell’omonimo uscito solo un anno fa e che tanto aveva fatto suscitare dubbi e perplessità a causa della sua cadenza sommessa e – a detta di molti – soporifera. Chi scrive considera quel lavoro forse vittima di una necessità d’espressione che fa far male le cose. Questo 1968 (anno di nascita del musicista), invece, sembra un lavoro più calibrato e saggio. Un disco, certo, che presuppone un ascolto rilassato, ma che nello stesso tempo ispira rilassatezza e qualche buon umore, come per il bel strumentale Insomnia Song composto da Pajo in una di quelle notti che faticano ad andar via. Cantautorato a là Elliot Smith (I’ve just restored my will to live again) e qualche ambizione elettronica (Wrong Turn), ballads soffici, lo fi, chitarre dolci (Ciclone Eyes), folk d’annata (Let It Be Me – molto bella l’armonica d’accompagnamento)) e voce trasognante. Un album positivo questo 1968, non c’è che dire. Un album da ascoltare con pazienza e tempo (quest’ultimo, elemento difficile da concedere alla musica, alle volte). Dunque basta col vivisezionare la carriera di Pajo, perché quello da solista, cominciata da un paio d’anni, è un percorso a se stante e nuovo di zecca. Non poteva essere suonato in maniera migliore il settembre bagnato di pioggia.

 

Tracklist 

1. Who’s That Knocking
2. Foolish King
3. We Get Along, Mostly
4. Prescription wrong
5. Insomnia Song
6. Wrong Turn
7. Cyclone Eye
8. Walk Through The Dark
9. Let It Be Me
10. I’ve Just Restored My Will To Live Again

Riccardo Marra

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