Il ritorno dall’Ungheria a Palermo ai tempi del Covid-19 «Senza soldi né dimestichezza rimani sola per strada»

«Siamo partite l’8 marzo, ovvero il giorno prima che succedesse tutto il putiferio in Italia». Inizia così il racconto di Alessia, che insieme ad un’amica e alle rispettive famiglie, dopo una vacanza in Ungheria, sabato è tornata a Palermo. Tra voli annullati, scali, aeroporti, porti, ambasciate e taxi: il viaggio di ritorno si è rivelata un’odissea. Le due famiglie avevano programmato il viaggio da tempo e, vedendo che in Ungheria la situazione era sotto controllo, hanno deciso di partire ugualmente, nonostante l’emergenza coronavirus fosse dietro l’angolo. «Non immaginavamo sarebbe successo tutto questo in quei giorni – spiega Alessia -, ovviamente se lo stato d’emergenza fosse apparso prima non saremmo partite».

Ad accoglierle una Budapest tranquilla, piena di turisti, senza mascherine né protezioni. «Lì a Budapest era come se nulla fosse successo – continua il racconto -, come se lì non esistesse il coronavirus, la vita girava normalmente. Ed è stato un bel viaggio, abbiamo visitato quello che c’era da visitare. Gli ultimi giorni però si sono rivelati un incubo». L’11 marzo, la sera prima della partenza, il governo Orban proclama lo Stato di emergenza in Ungheria e alle ragazze arriva un messaggio da Ryanair che annuncia la cancellazione del volo di ritorno verso l’Italia. «Pianti isterici, non sapevamo cosa fare: se andare in aeroporto o meno – continua il racconto di Alessia – Abbiamo provato a chiamare l’ambasciatore ma era tardi e non rispondeva, allora abbiamo pensato di recarci direttamente l’indomani mattina in ambasciata». Dove avviene l’incontro con un’altra famiglia italiana in difficoltà. «Abbiamo trovato una coppia di genitori che stavano adottando una bambina in Ungheria e dovevano ritornare in Italia con questa bambina giusto quel giorno – racconta -, anche il loro volo era stato cancellato ed erano lì per capire cosa fare».

Il trattamento in ambasciata non è stato però dei migliori: «Neanche ci hanno fatto entrare, abbiamo parlato attraverso il cancello. La signorina ci ha detto di aver chiamato Alitalia e ci ha suggerito di recarci in aeroporto: “Vi consiglio di restare in aeroporto e aspettare un volo di ritorno”, ha detto così, in pratica ce la dovevamo cavare noi». Le due famiglie palermitane chiamano quindi un taxi, a loro spese, e si recano velocemente in aeroporto, come consigliato. Ma l’ultimo volo per l’Italia delle 11,40 è pieno. «Siamo arrivati tardi e non c’erano più posti – spiega la ragazza – Tutte le compagnie non facevano più viaggi per l’Italia, né bus, né treni, né noleggio auto, avevamo pensato pure di farci in auto Ungheria-Italia. Eravamo rimaste in Ungheria e l’ultimo volo era partito senza di noi». Ma le ragazze non si sono perse d’animo e hanno provato a trovare una soluzione alternativa, chiamando compagnie aeree, ambasciate e amici.

«Siamo riuscite a parlare direttamente con l’ambasciatore ungherese – spiega Alessia -, ci ha detto di cercare su Internet voli per l’Italia ma non aveva senso dato che stavano cancellando tutti i voli da un momento all’altro. Sul web risultavano voli che poi comunque nei fatti non c’erano: tu li potevi comprare, pagavi e poi non partivano». Intanto l’ambasciatore ungherese sembra non avere altri suggerimenti per loro: «Ci ha addirittura detto “E che vuole che faccia? La ospito in casa mia?”». Dall’Italia, tramite amici, le due famiglie hanno provato anche a contattare la Farnesina. «Dall’estero saltava la linea quindi abbiamo chiesto a queste persone che erano a Palermo di chiamare al posto nostro – dice – Dalla Farnesina ci hanno detto di cercare uno Stato che ci permettesse di ritornare in Italia, quindi noi stessi dovevamo accedere a Internet, guardarci tutte le notizie degli Stati europei e capire quale potesse permetterci di tornare in Italia e quale no. Cosa che, per riuscire a tornare, abbiamo fatto».

Quindi il volo per la Francia, diretto a Parigi. «Siamo riuscite a trovare una soluzione anche abbastanza velocemente. Io sono giovane, sveglia, pratica con la tecnologia, ci siamo sbracciate e abbiamo cercato di partire il più velocemente possibile». Agevolata anche dall’esperienza Erasmus a Parigi, Alessia ha contattato alcuni amici per capire la situazione in Francia. «C’era comunque il rischio che arrivate in Francia non ci facessero partire, non avevamo nessuna certezza ma abbiamo rischiato. La famiglia che abbiamo incontrato in ambasciata invece ha deciso di non rischiare, avendo la bambina. Sono rimasti in Ungheria, a spese loro, affittandosi una casa». Trovare un volo di ritorno dalla Francia è stato meno difficile, grazie all’aiuto di una dipendente della compagnia aerea Air France. «Persone gentilissime, ci hanno trovato un volo per l’indomani mattina diretto a Roma che però costava 350 euro a testa. Dopo le spese che avevamo sostenuto, anche per pagare il biglietto Alitalia del 15 marzo dall’Ungheria che poi ci hanno cancellato, non avevamo più soldi».

I dipendenti Air France sono riusciti però a fare degli sconti, consentendo l’acquisto del biglietto alle due famiglie palermitane. «Hanno compreso la situazione e sono riusciti a farci pagare 198 euro a testa. Ci facevamo la colletta per cercare di mangiare perché eravamo rimaste senza soldi. Abbiamo dormito in aeroporto quella sera, nelle poltrone, e di mattina siamo partite per Roma». Ma l’odissea non è ancora finita. «In Italia la situazione era completamente diversa rispetto all’estero. Camminavamo accanto e tutti ci rimproveravano, ci dicevano: “Un metro di distanza! Un metro di distanza!” e noi sconvolte perché non ci aspettavamo tutta questa rigidità, non avendola vissuta in prima persona fino a quel momento». Le due famiglie palermitane erano inoltre senza mascherine né protezioni, dopo averle cercate disperatamente senza risultati tra Budapest e i vari aeroporti. «A Roma quasi tutti i voli erano stati cancellati sia per l’estero che per l’Italia. Ma c’era ancora un volo per Palermo». In fila per il biglietto però le due famiglie vengono allontanate: «Eravamo ammassati e, dopo averci chiesto nominativi e destinazione, ci hanno allontanati rassicurandoci che ci avrebbero richiamato».

Il volo sarebbe partito all’una e mezza, ma allo scoccare di mezzogiorno non era ancora arrivata nessuna chiamata. Qualcuno dalla biglietteria consiglia quindi alle ragazze di cercare un’alternativa. «Abbiamo trovato una nave che partiva da Civitavecchia – Alessia fa una pausa, sfinita dal rivivere le tante peripezie – e dopo aver chiamato un taxi, sempre a nostre spese, siamo andate al porto». Ad aspettarle una biglietteria chiusa e, dopo un gelato, le due famiglie sono finalmente riuscite a fare il biglietto di ritorno per Palermo. «Non potevamo stare nella sala d’attesa al chiuso e ci hanno detto di andare ad imbarcarci. Ma arrivati davanti la nave, ci hanno impedito l’accesso e siamo stati dalle 15,30 fino alle 19 di sera fermi lì, al gelo, a morire di freddo. Hanno fatto imbarcare prima le macchine e poi, dopo alcuni controlli, anche noi. C’era moltissima umidità al porto, la mia autocertificazione in tasca era bagnata». Prima di imbarcarsi, ecco anche i controlli della temperatura: «Un medico in tuta, con la mascherina, ha misurato la temperatura a tutti. Se avevi 37° ti trasportavano con la barella in ospedale. Di quella nave ne hanno trasportate tante, non so se gli hanno fatto il tampone poi, sta di fatto che non sono partiti. Io sono stata fortunata: avevo 36,8°, probabilmente per lo stress accumulato e il freddo, inoltre non dormivamo bene da giorni».

Il viaggio in nave e poi finalmente Palermo all’orizzonte, casa. «È stata un’esperienza che mi è servita un sacco, ho scoperto di avere una buona capacità di problem solving. Quello che più mi è dispiaciuto è stato sentire dire al telegiornale, subito dopo essermi fatta un mazzo così per riuscire a tornare, che stanno cercando di aiutare tutte le persone italiane all’estero. Non è vero – si sfoga Alessia -, assolutamente, zero aiuto!». La ragazza, una volta arrivata in città, ha comunicato alle autorità competenti il suo arrivo e quello della famiglia in viaggio con lei, mettendosi quindi in auto-isolamento. «Capisco che in questo momento l’Italia ha tante cose a cui pensare – conclude -, ma le ambasciate che hanno il compito di prendersi cura degli italiani all’estero? Loro non sanno come farci tornare? Almeno garantire che non si rimanga in mezzo alla strada se restiamo bloccati. Se fossi stata povera e non avessi potuto pagarmi tutte queste cose sarei rimasta lì. Una persona che non ha dimestichezza con Internet o che non conosce bene le lingue come fa a cercarsi gli Stati che consentono l’uscita verso l’Italia?».

Maria Vera Genchi

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