Il Re di Melbourne è Djokovic

Tutte le favole hanno un lieto fine e l’Australian open ci ha finalmente regalato quelle emozioni di cui era stato avaro per due intere settimane. La finale di oggi sarà ricordata a lungo, principalmente grazie ad uno straordinario Rafael Nadal che per quasi 6 ore non si è mai rassegnato al ruolo di vittima predestinata. Tutto si potrà rimproverare allo spagnolo. Che tecnicamente non è da primi dieci, che il suo fisico è sospetto, che lo stile invoglierebbe a cambiar canale una volta si e una volta no. Ma la sua caparbietà agonistica, unita ad una sagacia tattica sconosciuta ai poveri “corri e tira” contemporanei e a una fiducia in se stesso quasi sovrumana, non si è mai vista in un campo di tennis, e viene il dubbio che anche altri sport possano vantare pochi personaggi in grado di eguagliare lo spagnolo sotto questo aspetto. Vi chiederete che se uno così ha perso, il vincitore chi è allora? Mandrake? Tutto sommato nel caso di Djokovic si rientra nella norma. Il serbo viene da un’annata strepitosa, accompagnata da una grande condizione fisica, ma baciata da un talento che parte da Borg, passa da Lendl e Agassi e arriva, appunto, a Djokovic, degno erede di cotanta specie. Le accelerazioni col dritto e col rovescio bimane sono impressionanti, il timing sulla palla eccezionale e il tocco, anche se siamo lontani da Federer, non è da improvvisato sparatutto. Insomma il buon Nole è un normale numero 1, il più bravo di tutti in questo momento. Lodati i due grandi protagonisti dobbiamo anche dire che la partita è iniziata molto tardi, praticamente dopo circa tre ore e mezza di gioco tutto sommato noioso e scontato. Nadal era riuscito a strappare il primo set ad un sonnecchiante Djokovic, che però, scossosi dal torpore, nel secondo volava senza particolari patemi sul 5-2. Qualche avvisaglia di cosa sarebbe successo a partire dalla fine del quarto set si aveva quando Djokovic andava a servire per il set. Djokovic arrivava 40-15 e quel diavolo di spagnolo riusciva a infilare 4 punti di fila, guadagnandosi la possibilità di riagganciarlo sul 5 pari. Ma Nadal ha bisogno di stare sulla partita punto dopo punto, non può permettersi distrazioni perché il prezzo è altissimo. Sul set-point succede qualcosa che da Nadal non ti aspetti, il maiorchino serve lunga la seconda e cede il set. Rasserenato, Djokovic iniziava il terzo a spron battuto e lo chiudeva abbastanza rapidamente, brekkando due volte l’avversario. Iniziato il quarto set ci si predisponeva all’attesa di quello che sarebbe stato il break decisivo da parte del serbo, e l’ottavo gioco sembrava quello giusto. Sul 4-3 per il serbo Nadal precipitava sullo 0-40 e qui, dopo tre ore e mezza di gioco, iniziava la finale dell’Australian open. Invece del break arrivavano infatti, inesorabili, tre punti di fila di Nadal e nonostante una quarta palla break, altri tre punti consecutivi consentivano a Nadal di rimanere in partita. Il forsennato autoincitamento dello spagnolo, sortiva i suoi effetti, Djokovic teneva con maggior fatica i restanti due turni di servizio mentre Nadal volava sui suoi. Il tiebreak doveva essere il corretto epilogo; credevamo tutti che lo spagnolo potesse accontentarsi di aver fatto penare a lungo il numero 1 del mondo e rassegnarsi ad un’onorevole resa. Sul 5-3 tutto sembrava di nuovo finito. Ma Nadal non muore mai, aggredisce uno sconsolato e sempre più ciondolante serbo, gli toglie 4 punti su 4 e si trascina, dopo quasi 5 ore, al quinto set. Brividi freddi cominciano a serpeggiare nel clan del serbo, siamo alle soglie della quinta ora di gioco contro Nadal, uno che dopo la partita era capace di andare a farsi un paio di chilometri di corsa. E in effetti tutti i timori dei tifosi del numero uno del mondo prendevano forma nel sesto gioco, quando un dirittaccio lungo di Djokovic regalava il break a Nadal. Con infinita pazienza, Nole non si perdeva d’animo, tornava a martellare lo spagnolo e, per fortuna sua, riusciva immediatamente a controbrekkarlo, per raggiungerlo subito dopo sul 4 pari. L’incontro era ormai una battaglia di nervi e di fisico e il primo punto del nono gioco si chiudeva col povero Djokovic disteso a terra quasi agonizzante. Ma se Nadal non è mai morto il serbo è sempre vivo e riesce anche in quel gioco a crearsi l’opportunità del break che Nadal gli nega. L’undicesimo game però è quello buono e finalmente dopo 5 ore e 40 minuti Diokovic può andare a servire per il match e per il torneo. Storia chiusa? Con Nadal? Suvvia. Il serbo vola 30-0 a due soli punti dal match per trovarsi in un istante sul 30-40 e con la palla break per riaprire i giochi. Ma Nole ha buon sangue e braccio fermo e, dopo aver annullato lo svantaggio si procura il suo primo match point. Sarà, dopo 5 ore e 53 minuti, quello buono.

 

Rimane da dire, in modo molto sommesso, che forse sarebbe il caso che si cominciasse a riflettere seriamente sul rallentamento dei campi da tennis. Giocare 11 ore in tre giorni – come nel caso di Djokovic, ma Nadal è arrivato a 14 nelle ultime tre partite – oltre a rendere più breve la carriera dei giocatori rende anche il tennis un gioco in cui la forza fisica diventa fondamentale. O si hanno i bicipiti messi in mostra dai due dopo l’ultimo punto o conviene darsi ad un altro sport. Il tennis, sia permesso di ricordarlo, non è solo corsa.

 

Finale maschile: Djokovic b. Nadal 5/7 6/4 6/2 6/7 (5) 7/5

Roberto Salerno

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