Il rap di Don Cash, dalla dance al latin sound «Catania è una città che può schiacciarti»

Dalle hit da discoteca all’inno d’amore-odio per la sua città, Catania. È la musica di Don Cash, artista poliedrico che produce e canta generi diversi, uniti da un cuore rap. Incontrato in occasione dell’Hip hop night, il musicista – più noto all’estero, dove la sua musica ha fatto il giro delle discoteche, che in patria – ha raccontato a CTzen cosa sta dietro le sue scelte musicali, quali esperienze hanno maggiormente influenzato la sua vita artistica e il suo punto di vista sullo scenario musicale di ieri e di oggi.

Per lavoro hai avuto modo di girare il mondo e di venire a contatto con numerose culture: c’è un luogo che ti ha segnato o che hai apprezzato particolarmente?
«Come dicevo in una canzone “Ogni posto è lo stesso, il problema è questo: sapere dove ti è permesso essere te stesso”. Il bello delle culture contrastanti è che ogni posto ti trasmette qualcosa, i luoghi freddi come i Paesi del nord Europa ti lasciano la lungimiranza, la precisione, una maggiore dedizione al lavoro. Invece nei luoghi caldi, come l’America latina, trovi la carcas (la caciara, ndr), la musica popolare presente in ogni angolo di strada, il calore della gente. E poi c’è l’Italia, che è diversa ovunque. C’è la Milano fashion, la Roma dei turisti e c’è Catania, un immenso porto dove vedi tante culture diverse che hanno lasciato qualcosa».

Hai parlato di Catania nell’omonima canzone esaltandone pregi e difetti. Che rapporto hai con la tua città? Ti è mai stata un po’ stretta?
«Si, sempre. Chi è ambizioso, e il catanese lo è per natura, prima o poi vuole di più. A Catania ci sono le basi, i canoni della cultura siciliana, la famiglia, ma crescendo tutto questo inizia a starti un po’ stretto. Maturando cambia il modo di vedere le cose e le persone, e questo può schiacciarti».

Considerati i limiti territoriali di cui abbiamo parlato, qual è secondo te il segreto del successo?
«Non lo conosco, e se lo conoscessi non lo direi! (ride, ndr). Non è vero, il segreto non c’è e comunque io non credo d’aver fatto successo. Per me Michael Jackson, i Beatles hanno fatto successo; personaggi conosciuti da tutti in ogni angolo del mondo. Credo comunque che per raggiungerlo ci voglia tanta umiltà, voglia di fare, di rompersi la schiena senza mai sentirsi arrivati. Come dice un detto nostrano “Quando credi di essere arrivato, è il momento in cui hai finito”».

Dal rap alla dance, due genere diversi, spesso in opposizione tra loro, come sei riuscito a mandare avanti entrambi?
«Non ce l’ho fatta in realtà, continuo ogni giorno a mettermi alla prova, per cercare di capire chi sono e cosa piace al mio pubblico. Però c’è una cosa che mi stranisce: le persone non si accorgono che, in qualunque canzone faccia, io rappo. Sia nel pezzo funky che nel ballo di gruppo c’è sempre una strofa rap. La stessa cosa accade nei testi: i miei brani dance sono spesso contestatori, aggressivi, una prerogativa tipicamente rap. Il cuore è sempre quello. Poi è normale che, cambiando il bit, cambia anche il pubblico, la generazione. Cerco di adattare la mia musica in base al pubblico che ho davanti».

Oggi sembra che tutti, specialmente i più giovani, vogliano fare rap: cosa ne pensi?
«Adesso il rap è diventato una moda, ma in realtà questa cultura musicale c’è sempre stata ed ha sempre avuto un grande seguito. Prima si chiamava soul, poi blues, dopo r&b, adesso si chiama hip hop ma fondamentalmente esiste da sempre, ha cambiato il tempo in sua funzione ed è cambiata in funzione del tempo. Nel mio pezzo Get swing cito James Brown e TuPac dicendo che li vediamo diversi ma in realtà dicono la stesse cose».

Tra i brani che hai scritto ed inciso, qual è quello a cui sei maggiormente legato, che ti rappresenta di più?
«Dentro ogni mio pezzo c’è una parte di me, un lato del mio essere poliedrico e multiculturale che racconto al pubblico. C’è il mio carattere, il mio modo di divertirmi, ci sono le mie radici, c’è la musica che amo ascoltare. Spesso dietro a un ritmo spensierato da disco c’è un testo forte, duro, ma unito a un sound più leggero arriva di certo a più gente. Il ritmo è fondamentale, è movimento; ci vuole anche quella parte che ti fa ballare, che ti trascina, che ti fa sorridere. Ci vuole tutto».

Chiara Chines

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