Lavoratori Aligrup, da settembre in mobilità «Paghiamo gli sbagli di Scuto e del sistema»

«Non è che se uno se ne va dalla Sicilia trova l’America». Lo dice con voce piena allo stesso tempo di dubbio e consapevolezza, Giuseppe Russo, 38 anni, lavoratore in cassa integrazione del gruppo Aligrup, la società del re dei supermercati Sebastiano Scuto, sotto processo da 13 anni per associazione mafiosa, adesso in liquidazione. A lui e ad altri più di 500 colleghi è stata annunciata la mobilità a partire da settembre: un preavviso di licenziamento che incombe su chi da due anni non riesce a trovare un lavoro per mantenere la propria famiglia – nel caso di Russo, un bambino di quattro mesi e una compagna con un impiego precario – e la consapevolezza che farlo allontanandosi dalla propria terra e dagli affetti non sia così semplice e scontato.

Durante un incontro con il liquidatore della società, il 12 luglio, era stato deciso di redigere una graduatoria del personale non ancora collocato, nella speranza che si realizzi la cessione di altri punti vendita con il reinserimento dei lavoratori. «Molti locatori, però, invece di ricevere i soldi per la copertura dei debiti nei loro confronti, chiedono di avere la licenza dei supermercati senza obbligo di riassumere gli ex dipendenti», dichiara Russo, che per quasi dieci anni ha lavorato al centro commerciale Le Zagare, adesso acquisito dal marchio Coop insieme ad altri cinque punti vendita siciliani, dove sono stati riassorbiti 356 ex dipendenti.

«Purtroppo neanche per chi è stato ricollocato le cose stanno andando bene: la Coop ha annunciato una nuova cassa integrazione, la Conad chiude a settembre e la Pam ha licenziato dei lavoratori», spiega. L’ex dipendente Despar non vede molte prospettive di lavoro in Sicilia e ricorda come il gruppo Aligrup sia stato per loro un’opportunità: «Era un’azienda florida – dice – che incassava e andava bene. C’era del marcio, ma noi non lo vedevamo, non era nel nostro lavoro – continua – Dai numeri positivi importanti si è passati al buco di 170 milioni di euro e a pagare il prezzo più caro siamo stati noi dipendenti, vittime non solo della cattiva gestione ma del sistema Sicilia».

Tra i colleghi di Russo c’è chi è partito, chi aspetta e chi si reinventa. «Alcuni sono andati a Colonia, in Germania – racconta – Poi c’è chi ha un figlio disabile e si arrangia con la cassa integrazione e la pensione d’invalidità e aspetta non so cosa. C’è chi lavora in nero in altri campi, come imbianchino o muratore e, aggiungendo i soldi della cassa, se la passa meglio degli altri. E c’è anche chi ha chiesto i soldi della cassa integrazione tutti in una volta per aprire un’attività – continua Russo – Ma siamo stanchi e la maggior parte vuole che tutto finisca, per smettere di sentirsi appesi a un filo».

Agata Pasqualino

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