Il ponte sullo stretto: e se non fosse solo una chimera?

Parecchi secoli sono trascorsi da quando, nel 251 a.C., durante la prima guerra punica, i Romani organizzarono il primo rudimentale traghetto per trasbordare dalla Sicilia gli elefanti catturati ai Cartaginesi. Da allora, e sino ad oggi, l’esigenza di collegare l’isola alla terraferma è stato un problema via via risolto con i mezzi che i tempi consentivano: dalle piccole navi a ruota della fine dell’800, sino ai moderni ferry-boat.

Passato l’anno Duemila, tuttavia, il sogno di molti è la realizzazione del “Ponte sullo Stretto”, un’opera colossale e certamente di non facile attuazione che, secondo ricerche ed analisi consolidate, potrebbe aprire grandi orizzonti di sviluppo economico. Un’idea, questa, che sembra essere la soluzione più economica, sicura e di minore impatto ambientale, e che già viene definita come l’ottava meraviglia del Mondo. Un sogno, quello del ponte, a lungo inseguito, ma anche a lungo osteggiato da chi, come il ministro Costa, sosteneva che il gioco non vale la candela, dato che tale monumentale infrastruttura collegherebbe una regione economicamente debole al resto dell’Italia. Una dichiarazione che è stata, come vedremo, smentita dall’incedere degli eventi.

Fu proprio nella prospettiva di rinascita del profondo Sud che, nel 1969, l’A.N.A.S. indisse un Concorso di Idee per valutare la possibilità di un collegamento stabile tra la Sicilia ed il Continente. Venne così, nel 1981, fondata la Società Stretto di Messina, che ha come azionisti l’I.R.I. per il 51%, nonché Ferrovie dello Stato, A.N.A.S., Regione Calabria, Regione Siciliana, in quote paritetiche del 12,25%. Nel 1985, inizia l’attività operativa della società, ma per giungere all’avvio della fase di progettazione del ponte bisognerà attendere ancora tre anni. Finalmente nel 1992 il Progetto di Massima vede la luce. Nel luglio 1994 e nell’autunno 1995 sia le F.S. che l’A.N.A.S. esprimono parere sostanzialmente favorevole all’esecuzione del progetto.

Siamo così arrivati al passato più recente, quando, il 10 Ottobre 1997, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, massimo organismo tecnico dello Stato, approva all’unanimità il Progetto di Massima con il seguente parere: “L’assemblea unanime è del parere che il progetto di massima del Ponte sullo Stretto di Messina, esaminato ai sensi dell’art. 4 della legge 17 dicembre 1971 n. 1158, con le considerazioni, osservazioni e prescrizioni contenute, può essere sviluppato in sede di progettazione esecutiva.”. Ecco, così, espletata l’ultima, decisiva pratica burocratica verso la realizzazione di quello che poteva, sino al decennio scorso, apparire come il frutto della fantasia di un povero gruppo di pazzi avvinazzati, anche se ancora persistono nell’opinione pubblica locale sacche di indifferenza, per lo più generate, probabilmente, dalla disinformazione. Diamo, a tal proposito, alcuni dati del progetto: il ponte (secondo nel suo genere solo al nipponico Akashi-Kaikyo), che si innalzerà oltre la lingua di mare che separa la sponda calabra di Cannitello da quella siciliana di Ganzirri, sarà costituito da un’unica campata, con una luce di 3.360 metri, un’altezza dal livello del mare oscillante fra i 64,35 e i 70 metri, ed una larghezza di 60 metri che consentirà la costruzione di tre corsie stradali per ogni senso di marcia (capaci di smaltire un traffico di 9.000 automezzi per ora, cioè oltre 140.000 nelle 24 ore), oltre ad un canale ferroviario a doppio binario (che consentirà il transito di 200 treni al giorno), alle corsie di emergenza per le autostrade, a due strade di servizio per la ferrovia e due per la manutenzione e la sicurezza, con un totale di 12 corsie autostradali e 2 linee ferroviarie.

Le caratteristiche di resistenza e sicurezza sono strabilianti: il ponte è in grado di affrontare, grazie alla propria aerodinamicità, raffiche di vento sino a 210 Km/h e di resistere ad un sisma di magnitudo pari a 7,1 gradi della scala Richter, ben più devastante, quindi, di quello che distrusse Messina e rase al suolo buona parte di Reggio e dintorni nel 1908 (anzi, in caso di tale nefasto fenomeno naturale, il punto più sicuro sarebbe proprio il centro del ponte); inoltre, se un ordigno nucleare delle proporzioni di quello lanciato su Hiroshima durante la seconda guerra mondiale dovesse esplodere ad una distanza di 500 metri dal ponte, la deflagrazione ne distruggerebbe il settore direttamente contiguo al punto della detonazione, senza, tuttavia, intaccare la restante parte della struttura.

Per ciò che concerne l’impatto ambientale non mi esprimo. A lavori terminati, verrebbero impiegate circa 500 unità tra l’esercizio e la manutenzione, con un indotto di ulteriori 450 unità medie per anno, che darebbero occupazione a quanti oggi sono impiegati nell’esercizio dei traghetti senza, con ciò, decretare la fine dell’attività di trasbordo via mare, che, invece, potrebbe continuare con diverse finalità e modalità operative, come dimostrano, peraltro, gli esempi di Lisbona ed Istanbul. I costi si aggirerebbero intorno ai 3 mila miliardi di euro per il solo ponte, più altri 1.250 miliardi circa per i collegamenti in Sicilia ed in Calabria. Il progetto, in effetti, dovrebbe rivoluzionare i sistemi di comunicazione delle due regioni, con la costruzione di una nuova stazione ferroviaria a Messina e con collegamenti stradali e ferroviari fra il ponte e le strutture preesistenti, le quali, però, rappresentano la nota dolente ed il vero punto debole di tutto il progetto. Queste, infatti, risultano obsolete, malfuzionanti e poco sfruttate: basti pensare al grado di incuria in cui versano certi tratti dell’A3 Salerno-Reggio Calabria, che assomiglia più ad una superstrada che ad una vera e propria autostrada; ai treni fatiscenti che operano nel nostro territorio, sempre più soggetti a ritardi patologici; alla scarsità di collegamenti aerei fra le principali località del Paese e l’aeroporto reggino.

Tutto questo, naturalmente, non fa che inficiare lo sviluppo commerciale e turistico della nostra zona, ostacolando gli operatori economici interessati nell’avviamento di una propria attività in loco. Il successo del progetto “Ponte sullo Stretto”, come si pò, quindi, arguire, passa attraverso il miglioramento delle vie di comunicazione esistenti, al fine di poter garantire lo smaltimento di un traffico di proporzioni inusitate che, già oggigiorno, viene a malapena sopportato. Il quadro che, perseguendo tale indirizzo di ristrutturazione, si verrebbe a delineare vedrebbe la zona dello stretto trasformarsi in uno dei nodi di comunicazione più importanti dell’intero Mediterraneo, con la possibilità per la nostra regione di sfruttare la situazione divenendo, da “Perla della Costa tirrena “, “Gioiello di tutto il Mare Nostrum”. E’ lapalissiano che ciò è preventivabile soltanto perseguendo una politica sul territorio tesa ad esaltare le bellezze artistiche e paesaggistiche Messina, dotandola, al tempo, di strutture turistiche ed impianti ricreativi ad hoc.

Un altro grande pericolo che, come una spada di Damocle, incombe sulla “solidità” del ponte è determinato dalle inquietanti presenze della malavita organizzata o (come è stato rilevato dalla Corte dei Conti) dell’ancora esistente corruzione a livello politico, che potrebbero ingerire nell’evoluzione del progetto, facendo lievitare i prezzi e riducendo un vero capolavoro dell’ingegneria civile moderna. Da tutto ciò si comprende bene come la sinergia di intenti ed azioni su svariati campi, al fine di giungere alla creazione di determinate condizioni socio-politiche e strutturali che facciano da substrato per un rifiorire economico, sia legata in modo ciclico al successo del progetto-ponte, che così potrebbe fungere da occasione pretestuosa per poter portare a termine ciò che, invece, si sarebbe dovuto già compiere un bel po’ di decenni fa. Adesso, però, bisognerà passare dalla fase di progettazione a quella operativa, sperando che fra il dire ed il fare ci sia, stavolta, di mezzo il mare, un mare attraversabile in soli tre minuti.

Gaetano Bonaventura

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