«Un’azienda è come un padre di famiglia che certe volte può avere problemi. Non è che perché ha un problema non serve più. Sempre padre è». Il senso paterno di Stefano Lo Greco, uno degli arrestati ieri nel blitz congiunto di guardia di finanza e carabinieri con l’accusa di avere portato alla bancarotta l’impresa di famiglia – dedita alla raccolta dei rifiuti in diversi Comuni della Sicilia – era alquanto deficitario. Nel giro di poche settimane, tra aprile e maggio del 2019, l’uomo passa dal rassicurare i dipendenti sul fatto che gli stipendi verranno pagati, nonostante il ritardo, al progettare una fuga lampo all’estero. «Quanto mi può costare domani volare da Palermo a Monte Carlo? Quattro persone? In elicottero o come meglio disponibile, perché ho urgenza di andare là!», è il messaggio vocale che l’imprenditore invia il 17 maggio 2019. L’interlocutore risponde che valuterà i prezzi anche di un jet privato.
Oggi 36enne, Stefano Lo Greco, per i magistrati della procura di Palermo, si sarebbe reso protagonista di una serie di reati insieme al cugino Michele. I due sarebbero stati i soci occulti della Cogesi, ditta del settore dei rifiuti che via via sarebbe stata svuotata delle risorse con l’obiettivo di lasciare a secco i creditori, per poi reinvestire le somme in beni di lusso. A fare da paravento ai due sarebbero stati soprattutto Valentina Mangano e Vincenzo Lo Greco, rispettivamente compagna e padre di Stefano. «Non preoccuparti, a te non ti arrestano, ormai sei troppo grande», dice l’imprenditore al padre. Il quale, dal canto suo, non si scompone e tutt’al più prova a immaginarsi sottoposto ai domiciliari, mentre fuma in balcone. Tra i due cugini ad avere più motivi a nascondere la propria presenza era di certo Michele: il 29enne, infatti, è nipote di Giuseppe La Rosa, pregiudicato per mafia e appartenente al gruppo di Balduccio Di Maggio. Anche per questa presenza ingombrante la prefettura di Palermo spiccherà un’interdittiva antimafia nei confronti della Cogesi e di altre ditte in cui Michele Lo Greco compariva tra i soci.
Per il gip Paolo Magro, in ogni caso, le intercettazioni raccolte dagli investigatori non lasciano dubbi sui reali amministratori della Cogesi. L’indagine è partita a settembre 2018, dopo uno strano incendio nell’autoparco del Comune di Partinico, dove la ditta, che raccoglieva i rifiuti in paese, era solita lasciare i propri mezzi. Tuttavia, in quella circostanza, ad andare a fuoco furono soltanto mezzi comunali, dato che quelli di Lo Greco erano stati spostati in un’area vicina. Il rogo divampò in un periodo un po’ turbolento, con l’amministrazione comunale scontenta del servizio prestato dall’azienda, la quale però avrebbe avuto nel funzionario Giuseppe Gallo un interlocutore privilegiato. «Ascoltami. Ti sto facendo una diffida, perché te la devo fare e non c’è niente da discutere. Va bene?», dice il pubblico ufficiale a Stefano Lo Greco, spiegandogli – secondo gli inquirenti – di avere le mani legate ma suggerendogli come replicare all’ente comunale.
Nei piani a medio termine dei Lo Greco, tuttavia, ci sarebbe stata la volontà di lasciare la Sicilia e portare le proprie ricchezze nel Principato di Monaco, così da sfuggire alla tassazione italiana e al contempo divincolarsi da eventuali aggressioni al patrimonio da parte della magistratura. Tra i reati contestati dalla procura, infatti, c’è anche il riciclaggio. Prima però gli imprenditori avrebbero monetizzato le risorse della Cogesi: dai conti della società, per esempio, è stato versato più di un milione di euro a Valentina Mangano a fronte di compensi per il ruolo di amministratrice quantificati, per gli anni che vanno dal 2016 al 2019, in meno di 65mila euro. A ricevere somme senza giustificativi validi sarebbero stati anche Stefano e Michele Lo Greco. Con i soldi dell’impresa, la stessa che faticava a pagare gli stipendi agli operai, il primo ha comprato anche una Ferrari. Il gruppo, verso cui il gip non ha riconosciuto l’accusa di associazione a delinquere, avrebbe distratto fondi anche attraverso la simulazione di cessioni di rami d’azienda a società a loro stessi riconducibili.
Per i magistrati ci sarebbe stata la necessità di reinvestire il denaro prelevato dalle banche in beni più facili da spostare e fare sparire dietro l’acquisto di lingotti d’oro e di una serie di orologi Rolex. Dei quali sono state però ritrovate soltanto le scatole vuote. «Si ha fondato motivo di ritenere che questa massa sottratta alla società sia stata esportata nel Principato di Monaco e lì investita», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. Di prove circa gli investimenti a Monte Carlo ce ne sono tanti. Lo Greco e Mangano acquistano, per circa 800mila euro, un appartamento di 62 metri quadrati, utile anche per consentire alla donna di ottenere la residenza in terra monegasca. La coppia apre anche una pasticceria siciliana. «Se mi riesce, faccio tredici. Se mi riesce a farle la residenza, faccio tredici. Porto tutti i soldi lì», confida Stefano Lo Greco al padre, nella primavera del 2019. Un progetto, quello della fuga all’estero, che per il gip sarebbe stato ancora attuale. Al punto che l’unico modo per evitarlo è stato l’arresto.
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