Un articolo di Sebastiano Messina tratto da Repubblica Palermo di oggi, sabato 7 Aprile 2012. “Con uno di quei gesti teatrali ai quali ci ha ormai abituati, il governatore Raffaele Lombardo ha spiegato ieri come intende comportarsi di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio con i boss: «Mi dimetterò – ha detto ai giornalisti convocati per l´occasione a Palazzo d´Orleans – un momento prima della decisione del giudice per le indagini preliminari». Poi ha aggiunto: «Anche se ci fosse il rito abbreviato, un minuto prima della sentenza sarò un semplice cittadino e non più presidente della Regione». Il gesto, ovviamente, sarebbe motivato dal profondo rispetto delle istituzioni: «Decido questo per amore della Sicilia e rispetto per la carica che ricopro, che non voglio sia intaccata da un eventuale rinvio a giudizio». Ascoltando queste parole, il primo istinto è quello di togliersi il cappello. Dimissioni prima ancora del rinvio a giudizio: altro che Berlusconi. Poi però uno viene colto dal dubbio di non aver capito bene. E il dubbio è fondato. Lombardo non sta affatto per dimettersi. Non si dimetterà perché non ha nessuna intenzione di aspettare la decisione del gup sul rinvio a giudizio. L´avrebbe fatto, probabilmente, se sul tavolo ci fosse stata solo l´imputazione di concorso esterno, sulla quale avrebbe potuto sperare che il giudice la pensasse come quei due pm che non volevano neanche chiedere il rinvio a giudizio. Ma il gip ha costretto la Procura a formulare anche la seconda accusa – il voto di scambio con l´aggravante mafiosa – che è assai più difficile giudicare infondata, alla luce delle carte, e che rende quasi inevitabile il processo.
Lombardo, come lui stesso ha confermato ieri, sta dunque pensando di aggirare il rinvio a giudizio chiedendo il rito abbreviato: un processo relativamente rapido che può essere avviato dallo stesso imputato, senza che il gup si pronunci sulla fondatezza delle accuse. Dopodiché aspetterà la sentenza di questo processo, prima di dimettersi. E un giudizio del genere, per quanto abbreviato, può durare mesi. «Anche fino a febbraio», avverte.
Ora, l´imputato Raffaele Lombardo ha naturalmente il pieno diritto di decidere la sua strategia processuale. Ma il presidente della Regione siciliana dovrebbe pensarci sette volte, prima di affrontare un processo per mafia nel pieno esercizio delle sue funzioni, imboccando il sentiero già percorso (senza fortuna) dal suo predecessore. Se davvero il governatore non volesse intaccare, come afferma, la carica che ricopre trascinandola al centro di un pesante dibattimento che vedrà i boss di Cosa nostra nel ruolo di protagonisti, non prenderebbe neanche in considerazione l´ipotesi di presentarsi a un processo per mafia come presidente in carica. E invece, a leggere le sue parole, il suo progetto è proprio questo. Altro che «amore per la Sicilia». Ma Lombardo è un politico spregiudicato, con una buona dose di cinismo, e perciò nessuno si meraviglierà di una simile scelta.
A questo punto, però, bisogna chiedersi cosa pensa di fare il suo principale alleato: il Partito democratico. Finora i democratici hanno fornito al governatore i voti per sopravvivere alla rottura con il centrodestra. Accontentandosi di aver mandato il Pdl all´opposizione, gli hanno tenuto bordone, fingendo di non vedere ciò che Lombardo faceva sotto i loro occhi, ovvero la sistematica occupazione di ogni posto di potere in tutta l´Isola e la distribuzione clientelare di ogni centesimo (e di ogni milione) che è uscito dalle casse della Regione. Risucchiato anch´esso dal vortice di potere messo in moto dall´astuto governatore, il Pd gli ha garantito il galleggiamento, giustificandolo con un´imprescindibile necessità: fare le riforme.
Le riforme, ovviamente, sono rimaste sulla carta. Vi ricordate la «semplificazione amministrativa» che avrebbe garantito tempi certi ai cittadini? Hanno dovuto rimetterla nel cassetto perché la burocrazia non garantisce tempi certi neanche all´Assemblea regionale. L´abolizione delle Province? Era uno scherzo, le Province resteranno. L´acqua pubblica? Uno slogan e nient´altro. La nuova formazione professionale? Ci siamo tenuti quella vecchia. Il piano rifiuti? È ancora una bozza, mentre la spazzatura sommerge Palermo. Non è cambiato proprio nulla, per i siciliani. Non in meglio, almeno.
E tuttavia il Pd non sembra aver imparato nulla da questi due anni di donazione di sangue. Il partito è esploso, il vertice è riuscito accuratamente a evitare di dare la parola alla base con quel referendum che è finito in un cestino con la benedizione di Roma, il segretario regionale è di fatto delegittimato e nessuno sa quale sia oggi la linea del Pd.
Adesso però c´è da prendere una decisione. È difficile immaginare che lo stesso partito che a Roma ha presentato una mozione di sfiducia contro un ministro (Saverio Romano) accusato del medesimo reato di Lombardo, a Palermo possa decidere di restare accanto a un presidente processato per mafia. Ma sono ormai due anni che in Sicilia la realtà supera l´immaginazione, e perciò non si può escludere nulla. Ci si può solo augurare che un soprassalto di dignità colga chi finora ha chiuso gli occhi e le orecchie per evitare di vedere, di sapere, di sentire. E di decidere.”
SEBASTIANO MESSINA
Repubblica Palermo
Sabato 7 Aprile 2012
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