Il mostruoso e il gotico tra occidente e oriente (Parte II)

Resta da chiedersi allora in maniera più sistematica quali siano gli elementi fondamentali di questo genere letterario come ad esempio la proiezione dei racconti nel medioevo devastato dalle guerre, la visione del fantastico e del mostruoso, le superstizioni religiose, e quali invece siano necessari ma non indispensabili. La mancanza di insegnamento etico o morale è ad esempio una caratteristica dei racconti che spesso definiamo “gotici”, ma non la sola; un altro elemento che caratterizza le storie gotiche è il tema del “doppio”, che si ritrova in storie di Kyoka (“Maya Kakushi no Rei”, 1924) o di Ryunosuke Akutagawa (“Kage”, 1920) e anche nel più recente “Suputonikku no Koibito” (1999) di Haruki Murakami. C’è da dire che chiunque si sia mai occupato di critica penso sia conscio che una tale destrutturazione dell’opera letteraria non potrebbe che essere del tutto insignificante dal punto di vista del fine poetico che gli autori si erano proposti. In definitiva, il tentativo di categorizzare un autore con il termine “gotico” (specialmente prima che ogni influenza potesse essere possibile tra la nostra e la cultura giapponese) come è stato per Ueda Akinari, è sembrato allo storico dell’arte Mitsutoshi Oba una manovra quasi da “colonizzazione”. Credo in effetti che sarebbe stato più costruttivo fare un confronto fra il genere occidentale di romanzo gotico e i generi giapponesi di romanzi fantastici e del terrore e semplicemente tenere in considerazione e rilevare gli elementi comuni (e non) tra le culture senza sminuire né magnificare l’una nei confronti dell’altra, e Mitsutoshi penso voglia far rilevare il discutibile binomio “nominazione/dominazione” in cui si può finire per cadere. La risposta che tenta di dare Huges è che: “il termine gotico non intende quegli autori che furono influenzati dalla letteratura occidentale, ma serve come termine per tradurre una tradizione simile in entrambe le culture”. Rimane però sempre problematico definire una oggettiva “similitudine”. Lo stesso Huges puntualizza che: “Per i lettori occidentali,la letteratura cinese e giapponese può apparire gotica, almeno in parte, per virtù della suo essere straniera”. Inoltre, pensando ad un rovesciamento dei ruoli, mi chiedo con amara ironia come la nostra orgogliosa cultura reagirebbe se una tale indelicatezza avvenisse nei nostri confronti. Un altro scrittore giapponese inserito solitamente nel filone “gotico” è Yukio Mishima (1925-70). Soprattutto per il fatto che nessuno scrittore giapponese ha mai avuto la sua abilità nel legare in maniera talmente indissolubile i temi del sesso e della morte.

Le opere più celebri che in Europa hanno canonizzato il genere gotico-romantico sono “Frankenstein,o il Prometeo moderno” (1818), intitolato semplicemente Frankenstein nella seconda e definitiva stesura del 1831, di Mary Wollestonecraft Shelley (1797-1851), “Nostra signora di Parigi” (1831) di Victor Hugo (1802-85), “Lo strano caso del Dr.Jekyll e Mr.Hide” (1888), di Robert Louis Stevenson e infine il celebre “Dracula” (1897) dell’irlandese Bram Stoker (1847-1912). La componente erotica è fortemente accentuata nei racconti gotici e in particolare nei racconti di vampiri: Il vampiro è sempre un gentiluomo di bell’aspetto che si accompagna con giovani ingenue fanciulle. Egli non cerca un appagamento sessuale ma molto più concretamente il suo principale alimento, la sua unica fonte di vita: il sangue umano. Il suo è quindi un atto manipolatorio, seduttivo, insidioso che viene a volte paragonato alle azioni di alcuni personaggi, specialmente donne, della letteratura giapponese.

Nell’ambito della letteratura giapponese nè i romanzi di Kyoka nè forse quelli di nessun predecessore di Ryunosuke Akutagawa (1892-1927)  avevano mai affrontato come centrale il tema del monologo interiore alla ricerca di quel territorio dove bene e male, convivono come accennato sopra. E dove esiste anche il mostruoso insieme al suo esatto contrario: il seducente. Se infatti il mostruoso è qualcosa che allontana, qualcosa di repellente, di deforme e moralmente inaccettabile ciò che seduce al contrario invita, avvicina, attira; è bello e apprezzabile. Il confronto tra i due può generare il prevalere di uno con l’altro, ma non sempre. Anzi, la coscienza che esistano entrambi ha contribuito a creare i personaggi più controversi del mondo del cinema e della letteratura. Mi vengono in mente “Il ritratto di Dorian Grey” (1891) di Oscar Wilde (1854-1905) in cui al personaggio eternamente giovane e bello, è accoppiato un animo mostruoso che gli fa compiere le più efferate atrocità. Al cinema ha avuto grande successo l’interpretazione di Anthony Hopkins nel “Silenzio degli innocenti” (1991) proprio per la sua duplice impersonificazione di attraente e ripugnante. O viceversa come non ricordare la figura romantica di Quasimodo nel “Notre Dame de Paris” (1831) di Victor Hugo, essere deforme che si strugge d’amore per la bella Esmeralda o ancora “The elephant man” (1980) di David Lynch? Nel luogo dove il bene e il male si contendono le azioni dell’uomo, il mostruoso e il seducente ne sconvolgono i ruoli creando miti. Ecco allora come Akutagawa riscrive una fiaba popolare: Il giovane protagonista di “Momotaro” è un ragazzo malvagio e turbolento, un vero tormento per i suoi genitori. Pur di allontanarlo gli comprano tutto il necessario per partire a fare la guerra al popolo dei demoni. Momotaro, una specie di anti-eroe dunque, riesce, ricattando o facendo leva sulla loro avidità a condurre con sé un cane, una scimmia e un fagiano. E come pensate ci venga descritto da Akutagawa il paese dei demoni e quello degli uomini? I ruoli si invertono: gli uomini sono malvagi, i demoni, invece, irreprensibili.

Il giudizio occidentale sul cinema popolare giapponese, all’inizio degli anni ’90, è stato rivalutato quando alcune opere, in special modo “Akira” (1989) di Katsuhiro Otomo hanno cominciato a risvegliare l’attenzione della critica. Susan J.Napier in un suo articolo (Susan J.Napier “Panic Sites: the Japanese imagination of Disaster from Godzilla to Akira”) considera la fantascienza come un “veicolo particolarmente appropriato per il trattamento della complessa e  fortunata storia giapponese”. I suoi elementi, ovvero la rapidità dei cambiamenti, l’ideologia del progresso, l’onnipresenza delle macchine sono effettivamente riscontrabili anche nella realtà  quotidiana giapponese. La Napier, per delineare i confini della sua ricerca, si sofferma su un aspetto della fantascienza: sull’idea del “disastro” inteso come collasso sociale, materiale e spirituale, che Susan Sontag sembra aver osservato essere una caratteristica prominente del cinema popolare giapponese. Naturalmente, viene specificato, l’uso che il Giappone fa della “science-fiction” non è una sua esclusiva (tutto il ventesimo secolo ha adottato la narrazione fantastica come lo specchio di una “anti-utopia”), eppure la mancanza di una sua celebrazione, di una sua magnificazione (vedi “Guerre Stellari” o “Incontri ravvicinati del terzo tipo”), rende il caso giapponese particolarmente interessante. Nell’articolo vengono considerati come rappresentativi tre film: il capostipite della saga di “Gojira” (“Godzilla”, 1954), “Nippon chinbotsu” (di cui non esiste una versione italiana, 1973) e il già citato “Akira”. “Godzilla” e “Nippon Chinbotsu” devono in parte il loro successo alla trama semplice e lineare, quello che Andrew Tudor chiama “orrore rassicurante”. Si tratta di storie in cui principalmente vi è un evento catastrofico da superare. In “Godzilla” (uscito nelle sale, ricordiamolo, otto anni circa dopo l’esplosione delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki) è l’arrivo di un dinosauro risvegliatosi e divenuto radioattivo a causa degli esperimenti atomici americani al largo delle isole giapponesi. In “Nippon Chinbotsu” è invece lo sprofondamento del Giappone dovuto ad uno spostamento della placca terrestre che si trova sotto l’oceano Pacifico.

“Akira”, confrontandolo con gli altri due film presi in esame dalla Napier, presenta degli elementi originali sul tema del mostruoso. La trama ruota attorno alcuni oscuri esperimenti scientifici praticati dal governo giapponese su dei bambini. La scena è la Nuova Tokyo del 2019, costruita accanto a quello che resta della antica capitale. Uno dei ragazzi coinvolti negli esperimenti è Tetsuo, un membro di una banda di motociclisti. Rapito dal governo viene cercato dall’amico Kaneda, che si fa aiutare da una ragazza di nome Kay da cui è attratto e che scopre far parte di un misterioso gruppo rivoluzionario. Nel film l’elemento mostruoso è concentrato nelle ultime scene. Tetsuo acquisisce un potere extrasensoriale (indicati nel genere fantascientifico dall’acronimo ESP, Extra Sensory Perception). Per quasi tutto lo svolgersi della vicenda riesce a controllarlo grazie a delle droghe, ma infine il potere prende il sopravvento su di lui e, essendo superiore a quello che il suo piccolo corpo poteva contenere, avviene una mutazione. Il corpo di Tetsuo si trasforma inglobando ciò che lo circonda diventando un ammasso deforme di carne dai contorni di un feto umano. Grazie alla rinascita di Akira e all’intervento dei tre bambini Tetsuo completa la sua mutazione e viene trasformato in un essere superiore. “Come fa il film di Kubrik [2001,Odissea nello spazio], ”Akira” termina con un inizio. Tetsuo infine muta in un nuovo essere, forse anche un nuovo universo” (Napier). In questo film l’elemento mostruoso è visto come modifica, trasformazione, mutazione verso una ridefinizione dell’essere umano. La deforme metamorfosi è una fase di passaggio distruttiva per chi la compie ma la distruzione è anche una rinascita e un rinnovamento. Forse era questo che Akutagawa non aveva ancora compreso, o semplicemente non aveva ancora i mezzi per comprendere quando decise di togliersi la vita nel luglio 1927. Nel contesto instabile, rappresentato nel film dalle tensioni politiche, religiose e dal progresso della scienza, il mostruoso è un elemento presente in ogni essere umano che può sorgere in superficie. Manifestandosi in una mutazione, verso un perfezionamento del nostro animo, tende allo shinjinrui, a diventare una “nuova umanità”. Ostacolarlo può non essere sufficiente o semplicemente possibile. Come pensare di fermare Godzilla, il mostro inarrestabile, nella sua avanzata? Resta la fiducia nel fatto che tutto possa essere ricostruito, rigenerato,migliorato. Il mostro deve essere controllato ma prima o poi sorgerà dai bui recessi della nostra anima e distruggerà tutto,inevitabilmente.

 

La prima parte dell’articolo è disponibile qui: http://www.iblalab.it/v2_open_page.php?id=3401

Emanuele Lissandrello

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