Due donne completamente diverse tra loro e divise anche dal tempo. Una è la nipote preferita di un ricchissimo magnate. Una vita apparentemente perfetta condotta su un’isola svedese negli anni ’70; un giorno però la donna scompare nel nulla, probabilmente assassinata. L’altra ha il viso costellato di piercing, un corpo androgino con un enorme tatuaggio che le copre la schiena, fa la hacker e si trova coinvolta, suo malgrado, nelle indagini sulla sparizione della prima.
Che cosa hanno dunque in comune Harriet Vanger e Lisbeth Salander? Figure femminili che concentrano su di sé il disprezzo dell’altro sesso, le protagoniste del film “Uomini che odiano le donne”. La pellicola, diretta da Niels Arden Oplev, è tratta dall’omonimo bestseller del giornalista svedese Stieg Larsson.
Lo sfortunato scrittore – è morto a 50 anni, poco prima che i suoi libri scalassero tutte le classifiche di vendita in Europa – ha creato una trilogia (“Millennium”) capace di attirare milioni di fan. Ironia della sorte, la compagna che ha vissuto per più di trent’anni con lui non ha diritto alla crescente e cospicua eredità in quanto non è inclusa nel testamento. Un’altra donna odiata dagli uomini?
Il film è stato affidato ad un regista danese (Oplev) che ha avuto la capacità di tradurre visivamente questa storia poliziesca a tratti drammatica. Il ruolo del protagonista è stato assegnato a Michael Nyqvist che interpreta Mikael Blomkvist, giornalista reduce da una battaglia legale condotta contro un ricco industriale che lo ha accusato di diffamazione. All’uomo non resta che accettare al volo l’opportunità offertagli da un vecchio magnate (Henrik Vanger). L’anziano vuole sapere chi abbia ucciso l’adorata nipote Harriet durante una riunione del grande e controverso clan famigliare.
“Tutti hanno dei segreti” afferma serafica Lisbeth: questa è la chiave del film e dell’intera trilogia “Millennium”.
La pellicola può essere divisa in due parti: nella prima a farla da padrone è Lisbeth, genio informatico dallo stile di vita “particolare” interpretato dall’autodidatta Noomi Rapace. Di lei si sa solo che è affidata ad un tutore perverso e violento. Qualche scena della sua infanzia (e il motivo dei continui incubi e del suo comportamento decisamente asociale) emergeranno solo alla fine del film. Quando l’agenzia per la quale lavora le chiede di trovare informazioni su Blomkvist, la giovane hacker si trova ad indagare sulla scomparsa di Harriet. Qui inizia la seconda parte, nella quale l’indagine sul caso Vanger prende il sopravvento.
Il film tiene incollati alla sedia nonostante le due ore e mezzo di durata e le scene ad alto tasso di violenza. Buone premesse – sia per quanto riguarda la realizzazione che gli incassi al botteghino – che fanno ben sperare per l’uscita (in autunno) del secondo adattamento della trilogia, “La ragazza che giocava con il fuoco”. A Hollywood è già stata messa in cantiere una versione statunitense del film, ma è difficile che riescano a migliorare l’ottima prova del cast di Oplev.
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