Il mito di Eracle al Teatro Greco di Siracusa

Titolo:Trachinie di Sofocle per il Teatro Greco di Siracusa
Traduzione: Salvatore Nicosia
Regia: Walter Pagliaro
Scene e costumi: Giovanni Carluccio
Musiche: Arturo Annecchino
Coreografie: Silvana Lo Giudice
Assistenti alla regia: Tatiana Alescio, Elisabetta Ceppa Arosio;
Assistente alle scene: Sebastiana Di Gesù;
Assistente ai costumi: Giada Palloni;
Direttore di scena: Enzo Campailla

Il cast delle Trachinie
Deianira: Micaela Esdra
Nutrice: Deli De Maio
Illo: Diego Florio
Messaggero: Massimo Reale
Lica: Luca Lazzareschi
Vecchio: Francesco Alderuccio
Eracle: Paolo Graziosi
Iole: Lucina Campisi
Corifee: Simonetta Cartia, Roberta Caronia
Musiche dal vivo: Valentina Attardi (flauto), Lucia Chiara Garofalo (flauto), Oretta Orengo (oboe)
Coro: Rita Abela, Stefania Bongiovanni, Benedetta Borciani, Ilaria Bottiglieri, Roberta Brancaforte, Micaela De Grandi, Carmelinda Gentile, Lydia Giordano, Eleonora Micali, Mariacristina Mirto, Valeria Pistillo, Katia Principato, Rita Salonia, Antonella Scimemi, Jennifer Schittino

L’uomo con la sua forza e la sua enorme fragilità, il suo rapporto complesso con la divinità, l’imperscrutabilità del destino: sono questi i temi che emergono dai drammi in cartellone quest’anno per il XLIII ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro Greco di Siracusa (dal 10 maggio al 24 giugno).

L’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che organizza ogni anno gli spettacoli di Siracusa, ha già rappresentato due volte le Trachinie di Sofocle al Teatro Greco: la prima volta nel 1933, con la traduzione di Ettore Bignone e la direzione artistica di Franco Liberati, la seconda nel 1980, con la traduzione di Umberto Albini e Vico Faggi e la regia di Gianfranco Corbelli. Quest’anno la messa in scena dell’opera sofoclea ha appassionato e commosso migliaia di spettatori giunti a Siracusa da tutta l’Italia per non perdere un appuntamento che torna puntuale ormai ogni anno: «Perché non c’è modo migliore – ha detto una coppia di spettatori romani che viene ogni anno nella terra dei greci – di immergersi nel dramma antico che quello di vederlo nello stesso luogo dove anche nell’antichità veniva rappresentato. Niente a che vedere con il teatro “al chiuso” dove il buio in sala fa da filtro tra noi e la scena: qui a Siracusa lo spettatore ha la possibilità di sentirsi un tutt’uno con i personaggi e il dramma che stanno vivendo». 

Al calare del sole inizia il dramma di Eracle e Deianira: una donna, la nutrice, irrompe sulla scena portando con sé una brocca riempita con un liquido rosso come il sangue che verrà versato in una delle pozze d’acqua realizzate nella scenografia. Il rosso, il colore dell’eros,  protagonista assoluto della tragedia come forza che sconvolge e di cui non si può fare a meno, è il filo conduttore dell’intera messa in scena: il rosso della passione accecante che brucia nel cuore di Deianira, moglie dell’eroe resa folle dalla gelosia, il rosso del suo abito, il rosso della coperta del talamo nuziale sul quale troveranno la morte i due protagonisti, il rosso della sciarpa del messaggero Lica che con i suoi sotterfugi scatenerà la follia di Deianira, il rosso del sangue delle ferite di Eracle e della spada con la quale la moglie si trafiggerà, il rosso del fuoco nel quale il corpo dell’eroe, ormai sfatto dal veleno, verrà bruciato.

«Dice un proverbio antico, diffuso tra i mortali, che il bilancio di una vita, se sia misera o felice, si può fare soltanto quando è ormai finita»: comincia così il prologo delle Trachinie, con la voce e i ricordi di una Deianira ansiosa e disperata, moglie fedele e innamorata dell’eroe Eracle ormai lontano da casa da molto tempo. Della straordinaria vicenda di Eracle, il mitico eroe greco trionfatore di mille battaglie, le Trachinie portano in scena l’epilogo, accentuando il tragico momento con la forza e l’intensità del duplice dramma, quello di Deianira e quello di Eracle. Un dramma raccontato allo spettatore con estrema intensità da una donna, Micaela Esdra/Deianira, capace di toccare le corde dell’emozione con infinite sfumature, rendendo lo spettatore partecipe di una tragedia che nei momenti più cruenti si consuma tutta fuori dalla scena.

Deianira e Eracle, Eracle e Deianira, entrambi vittime dell’amore, di quello frustrato e appassionato di Deianira e di quello superficiale e irrispettoso di Eracle, ma anche vittime e emblemi di un destino che accomuna tutti gli uomini. Nella cultura greca, infatti, l’intera umanità è vittima di un destino impenetrabile ed è condannata a constatare in punto di morte il proprio fallimento. Così l’invincibile eroe diventa corpo martoriato e corroso dal veleno, e tra urla strazianti e femminee muore per mano di una donna, della sua donna: «Tanto strazio non lo produssero né esercito in campo aperto, né la schiera dei Giganti nati dalla terra, né violenza di mostri, né Greci né barbari […] una donna mi ha ucciso, una femmina priva di natura virile, con le sue sole forze, senza spada»; Deianira si suicida per la disperazione di aver procurato la morte al suo amore porgendogli in dono la tunica intrisa del sangue del centauro Nesso (ucciso dall’eroe greco), che aveva creduto essere un filtro d’amore e non un’arma di morte, e Illo, il figlio, assiste inerme alla morte dei genitori ed è costretto, dal ricatto di Eracle in punto di morte, a sposare Iole, la donna di cui il padre si era innamorato, la causa di questo tragico finale.

A rendere ancor più intensa la tragedia e difficile da rappresentare, la particolare struttura “a dittico” dell’opera di Sofocle, il fatto che i due protagonisti non si incontrano mai sulla scena perché l’una si è già suicidata quando l’altro si presenta in fin di vita per l’ultimo lungo monologo: «Di fatto abbiamo come la sensazione – ha affermato il regista Walter Pagliaro – che i due personaggi possano esprimere una continuità, che possano essere due aspetti diversi di una stessa unità. C’è un letto sulla scena, fulcro determinante sin dall’inizio del dramma, e non a caso sarà il letto di morte sia di Deianira che di Eracle. Il coro, elemento-cerniera dell’intera messa in scena, ha la funzione di fare riflettere lo spettatore su ciò che ha visto e di prepararlo all’atmosfera dell’episodio che seguirà, riuscendo a fermare il tempo per un certo numero di minuti o di ore nel corso di questo giorno fatale». Degni di nota due dei cori delle Trachinie, l’uno cantato in greco e l’altro in siciliano, quasi a voler fondere le due tradizioni di questo magico luogo.

Contro ogni principio regolatore della vita umana, contro ogni legge esistenziale, il passato distrugge il presente, i morti uccidono i vivi e il mondo sconfitto sconfigge quello dominante. Il messaggio per l’intera umanità, il senso di questa tragedia, è affidato in conclusione ancora una volta alle parole rivelatrici e salvifiche della nutrice: «Questo è ciò che è accaduto. E perciò io dico che chi fa affidamento su due o più giorni è uno stolto: perché non c’è domani prima che uno abbia superato indenne il giorno presente».

TRAMA: Ancora nel pieno della sua vitalità, l’eroe ha già compiuto, viaggiando nell’arco di dodici anni per terra e per mare, da un capo all’altro del mondo conosciuto, le imprese che lo hanno reso famoso; ed ora, reduce dall’ultima di esse (la distruzione della città di Ecalia), si prepara a ritornare dalla moglie Deianira che allevando i suoi figli per tanti anni lo ha atteso in angosciosa solitudine. Del bottino di guerra che precede l’arrivo dell’eroe, fermatosi in una vicina località a fare sacrifici di ringraziamento a Zeus suo padre, fa parte anche una schiera di prigioniere, fra le quali spicca la giovane Iole, figlia del re della città distrutta, che Eracle pensa di riservare a sé imponendone alla moglie la presenza in casa. Nel tentativo di riconquistare il vacillante amore del marito, Deianira si risolve, fra molte incertezze, a far ricorso ad un filtro d’amore datole tanto tempo prima dal centauro Nesso, quando, colpito a morte dalle frecce avvelenate di Eracle, l’aveva convinta che il sangue sgorgato dalla sua mortale ferita avrebbe avuto il potere di distogliere il suo uomo da qualsiasi amore altrove indirizzato. Ma la tunica intrisa di quel sangue e inviata ad Eracle si rivela fatale: per effetto dei raggi del sole gli si attacca alle carni, lo stringe in una morsa inestricabile, gli corrode il corpo.
Quando, in preda ad atroci sofferenze, giunge a casa portato su una lettiga, Deianira, consapevole del proprio errore, si è già uccisa nella stanza nuziale. E tra urla e femminei lamenti Eracle prende consapevolezza che l’antico oracolo che fissava proprio in quel periodo o la sua morte o la fine dei travagli, poneva in realtà non una alternativa, ma una sola univoca indicazione: morte e fine dei travagli erano la stessa cosa. Nell’impossibilità di vendicarsi della moglie, come pure vorrebbe, con tutta la ferocia di cui è ancora capace, Eracle dà al figlio Illo le sue ultime perentorie, brutali disposizioni: lui dovrà sposerà Iole, la donna che è giaciuta al suo fianco, e dovrà accompagnare il padre sul monte Eta sacro a Zeus, dove l’eroe sarà bruciato, ancora vivo, su una pira. Padre, figlio, accompagnatori e coro si avviano così in mesta funerea processione verso il monte Eta, dove Eracle, recuperando la sua sovrumana capacità di controllare il dolore, troverà la fine dei suoi tormenti di ora, e dei suoi travagli di sempre. (dal libretto delle Trachinie nella traduzione di Salvatore Nicosia per l’Inda)

Il sito dell’Inda (Istituto Nazionale del Dramma Antico) www.indafondazione.org

Chiara Nicotra

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