Il disegno di legge della manovra sulla Scuola prevede anche interventi di contenimento delle spese nell’Università. L’art. 75 del Dpef contiene un bel cadeau per i docenti universitari e gli Atenei: dal 1° gennaio 2009 gli scatti biennali dei docenti, mantenendo lo stesso importo, diventano triennali; si stirano, per così dire.
I risparmi conseguenti per le Università, quantificati, dal 2009 al 2013, rispettivamente in 40, 80, 80, 120 e 160 milioni, saranno versati in apposito fondo del Bilancio dello Stato. Neppure una parvenza di motivazione, o di finalizzazione, almeno per salvare la faccia. Un taglio e basta.
In un intervento su una mailing list di docenti universitari, il prof. Gennaro Carotenuto (Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università di Macerata) osserva: “Questa misura è una scelta politica che ha il senso del punto di non ritorno rispetto alla dignità della nostra professione. Il passaggio allo scatto triennale vuol dire innanzitutto far scendere gli aumenti delle retribuzioni al di sotto dell’inflazione e quindi andare ad un depauperamento reale ed immediatamente percepibile, sia che si progredisca nella carriera, sia che si resti al punto dove si è. Lo scatto biennale, infatti, rivalutava il nostro stipendio dell’inflazione in un contesto di stagnazione, mantenendo, in buona sostanza, di biennio in biennio le cose come stavano senza migliorarle, ma riuscendo almeno a frenare la caduta nel precipizio”.
“In particolare, per chi tra noi è entrato in ruolo da pochi anni – prosegue Carotenuto – una scelta politica del genere comporta un danno materiale gravissimo. Il calcolo è facile. Un ricercatore (solo per comodità suppongo che resti ricercatore, ma in caso di progressione la perdita è proporzionale) in 30 anni in ruolo ottiene non più 15 scatti biennali ma solo 10 triennali. Nel primo caso uno stipendio base che è oggi di 1500 € dopo trent’anni giunge a circa 3.300 € mentre nel secondo si ferma a 2.700 €. Gli economisti sapranno fare i conti meglio di me”.
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