Un matrimonio lungo trent’anni. Che inizia da prima che nel quartiere ci fossero la scuola, la chiesa e la stazione dei carabinieri. «Il rapporto tra il Laboratorio Zen Insieme e il quartiere è così lungo che non basta la mia esperienza a testimoniarlo, considerato il fatto che sono qui solo da sei anni. Ma posso dire che già in questo lasso di tempo ho visto cambiare tantissimo la comunità che ci vive». Così Mariangela Di Gangi, presidente della storica associazione, che quest’anno festeggia trent’anni d’attività, parla della sua esperienza all’interno dello Zen, un luogo che fa parte della città, aperto a chi vorrà conoscerlo davvero. Questa voglia Mariangela l’aveva. È uno dei motivi che l’hanno spinta, quasi sette anni fa, a cercare di scoprire se «quella realtà era davvero irredimibile come dicevano in giro o se veniva giudicata con troppa superficialità. E ho scoperto che si trattava della seconda possibilità».
Negli ultimi anni poi qualcosa è cambiato: «Penso che lo Zen oggi sia, rispetto a prima, un quartiere più pronto a mostrarsi alla città con fierezza e orgoglio – continua Mariangela -, perché ha maturato la consapevolezza che questo stigma che tutti gli hanno affisso addosso da sempre, da quando è stato occupato, non è ineludibile. In questo senso siamo contenti che la gente abbia accolto tutte le iniziative che abbiamo messo in campo negli ultimi anni per cercare di fare in modo che ci siano più occasioni possibili perché il resto della città e del Paese si accorgano di cosa sia davvero lo Zen, un mondo molto diverso rispetto a quello che ci raccontano, soprattutto i media». Non c’è stata mai tensione con le persone che vivono qui, sottolinea la presidente dell’associazione, ma un processo trasparente di condivisione delle decisioni e delle attività da svolgere. Il Laboratorio Zen Insieme ha fatto proprie le battaglie e le speranze delle persone con cui si rapportava, cercando di formarle e farle crescere all’interno di uno spazio ancora troppo spesso lasciato in balia dei pregiudizi e distante dal centro, dal cuore della città.
«Quello che ha rafforzato il legame tra noi e il quartiere – spiega ancora – è il metodo che abbiamo utilizzato, mettendo al centro il valore del consenso reale. Proviamo a decidere tutto insieme. Nel senso che siamo consapevoli del fatto che noi la sera andiamo a dormire da un’altra parte e che non possiamo sostituirci o pensare di trovare delle soluzioni migliori di chi invece vive ogni giorno sulla propria pelle i disagi che ci sono all’interno del quartiere. E poi la nostra speranza è di poter un giorno assicurare un servizio di qualità, come proviamo a fare in questo momento, gestito dalle persone che lavorano e si formano offrendo questo servizio. Persone dello Zen». Nel corso degli anni la lotta più dura, ribadisce, è stata quella contro i pregiudizi: «Non abbiamo a che fare con situazioni difficili – sottolinea – ma che fanno parte della vita quotidiana. Problemi che non ci scandalizzano né ci spaventano e che sono alla fine molto più comuni di quello che pensiamo. Uno dei quali è soprattutto l’immagine che l’opinione pubblica ha dello Zen. Uno dei pregiudizi con cui facciamo più spesso i conti».
«La prima volta ad esempio che abbiamo promosso un’iniziativa pubblica – racconta -, tra una serie di eventi era prevista anche la presentazione di un libro. La persona che venne qui, quando è arrivata, voleva sapere dove lasciare l’auto. Quando ha detto che temeva che gliela rubassero l’ho mandata via. Non c’era nessun motivo di presentare un libro se pensava che venire allo Zen mettesse in pericolo la sua auto. Succede che accada anche il contrario, e cioé che la gente arrivi qui e dopo dieci minuti trascorsi all’associazione o fuori nel quartiere, se ne vada con un’opinione totalmente diversa. Sono soprattutto i palermitani che non conoscono lo Zen e che spesso non hanno voglia di farlo». Uno sguardo che è rivolto quindi all’esterno, che cerca percorsi di integrazione e di mutamento del contesto di riferimento: «Per il futuro mi aspetto che l’associazione viva altri trent’anni. I miei obiettivi sono principalmente tre: mi auguro che entro i prossimi anni il quartiere abbia finalmente una piazza, che sia messo nero su bianco che delle famiglie abitano qua e che a guidare l’associazione ci siano le persone del posto, perché lo Zen non si salva con chi viene da fuori, lo Zen ha tutte le risorse per salvarsi da solo».
Adesso quindi è arrivato il momento di celebrare questi trent’anni. «Stiamo organizzando una festa il 19 e il 20 ottobre grazie alla quale speriamo di restituire al quartiere una minima parte delle cose che abbiamo ricevuto». Una festa per i bambini e le bambine. Tra le altre cose ci saranno laboratori di lettura, laboratori sportivi, una grande assemblea di quartiere, il PopShock, che per la prima volta sarà fatto in periferia, e il Canta Zen. «Stiamo lavorando a questa manifestazione non soltanto con le persone che abitano qua – conclude Mariangela -, ma con tutte le realtà che abbiamo incrociato nel nostro cammino: Libera Palermo, presente con un laboratorio, Dudi che organizzerà laboratori di lettura, le associazioni del quartiere, il Coordinamento antiviolenza 21 luglio, le Cuoche combattenti e Arcigay. Tutti contribuiranno a un pezzettino della nostra festa».
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