Il giudice Rocco Chinnici in un libro La vita in famiglia prima e dopo la morte

«Ho deciso di raccontare la storia di mio padre che non era un eroe, ma un uomo sensibile e autorevole allo stesso tempo, cercando di dargli sulla carta la forma in cui lo riconosco: una voce tonante di uomo austero che a prima vista intimidiva un po’ chi non lo conosceva, ma anche molto sensibile e sempre disponibile, soprattutto con i bambini a cui non negava mai un sorriso». Così Caterina Chinnici, la figlia del magistrato Rocco, ucciso dalla mafia nel luglio del 1983 a Palermo, spiega perché ha deciso di scrivere il libro È così lieve il tuo bacio sulla fronte, edizioni Mondadori, che ha presentato ieri pomeriggio alla Feltrinelli. Ospite d’onore il procuratore capo di Catania, Giovanni Salvi.

Un libro, quello scritto da Caterina Chinnici – anche lei magistrato impegnata nella lotta alla mafia e sotto scorta – con il quale la figlia primogenita racconta la loro vita familiare, quella di prima e quella dopo l’assassinio del padre. Dopo tanti anni, quindi, è stato abbattuto il muro di riservatezza che ha caratterizzato la famiglia Chinnici per spiegare lei stessa, da figlia e collaboratrice del padre, chi era l’uomo e il giudice Rocco Chinnici. Un volume con il quale l’autrice vuole cercare di ridare un po’ di fiducia nello Stato e nelle istituzioni, attraverso il racconto di un «precursore della lotta alla criminalità organizzata. Perché è attraverso la memoria che dobbiamo ritrovare la strada giusta», afferma Caterina Chinnici. «La storia ci dice che mio padre è andato oltre il concetto di lotta alla criminalità, considerata allora poco più che organizzata – spiega – ha cambiato la cultura giudiziaria e il metodo delle indagini». «È lui che ha ideato il lavoro di gruppo, il famoso pool antimafia che ha messo insieme tanti giovani magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino o anche l’aprire la lotta alla mafia ai giovani delle scuole, ovvero a interlocutori non solo istituzionali, o ancora è stato il precursore della investigazione paziente», afferma Salvi.

Difficile la vita personale e lavorativa per Chinnici e i suoi uomini, «tutti giovani perché gli anziani si rifiutavano di lavorare così e chiedevano il trasferimento», racconta la figlia. La sua lotta alla mafia, infatti, doveva scontrarsi con una solitudine bifronte: da una parte quella derivata da «una assoluta distanza e capacità di farsi scivolare tutto addosso da parte della gente, dei palermitani che nonostante le bombe che hanno distrutto anche molti patrimoni artistici della città, vivevano come se nulla accadesse», spiega ancora il magistrato Chinnici; dall’altro quella derivata dalla mancanza di metodo giuridico per una giusta lotta.

E durante la presentazione un momento particolare è stato dedicato alla madre di Caterina, una di quelle figure di cui non si parla spesso perché non fa parte della schiera delle donne di mafia che prendono il posto dei loro uomini in carcere o delle donne antimafia che spendono la propria vita a cercare di fare intraprendere una strada diversa da quella tracciata per i propri figli. «Mia madre fa parte di quella categoria di donne che silenziose, in apparenza con fragilità, stanno accanto all’uomo antimafia che amano – dice la figlia – Credevamo che dopo la morte di papà sarebbe andata in frantumi nella sua ingannevole fragilità, e invece è stata proprio lei a darci la forza per andare avanti esattamente come facevamo prima: con lo stesso coraggio, determinazione e serenità».

Dal libro scritto dal magistrato Chinnici viene fuori un uomo serio, che faceva il suo dovere in silenzio con molto senso del dovere istituzionale e che ha saputo porre le basi per la giurisprudenza di oggi e della cultura antimafia. Un uomo che ha tanto sofferto, ma che ha tanto aiutato l’Italia odierna. «Molto diversa è infatti la situazione oggi», spiega il procuratore Salvi che non esita a definire Chinnici un punto di riferimento fondamentale per la sua generazione di funzionari dello Stato. «Ci ha fatto capire che non solo è possibile la battaglia contro la mafia, ma che i processi si possono e devono vincere. Noi abbiamo dato molti colpi all’organizzazione a Catania, ma la strada è ancora molto lunga e tortuosa e per questo non dobbiamo mai abbassare la guardia. Sono convinto – conclude – che stiamo vincendo. I mezzi oggi ce li abbiamo, dobbiamo continuare».

desireemiranda

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