Il giorno imperfetto

Doveva essere un esperimento per il regista turco, una prova, una sfida. E invece di creare la sceneggiatura con Gianni Romoli, come nei film precedenti, Ozpetek stavolta si affida al romanzo di Melania Mazzucco, omonimo del film come prevede la legge del marketing editoriale – cinematografico. La storia era di per sé troppo tragica per Ozpetek che cambia, interpreta, traspone e tuttavia non sembra altro che un regista alle prime armi. Anzi, non sembra neanche lui: il Ferzan delle “Fate Ignoranti” e i suoi nastri d’argento o della “Finestra di fronte” e i cinque David di Donatello, che lo hanno reso celebre.

“Un giorno perfetto” (distribuzione Fandango, produzione di Domenico Procacci) comincia con l’annuncio di una tragedia e analizza le precedenti ventiquattro ore vissute da una donna, Emma (a cui Isabella Ferrari presta un volto fossilizzato nel patetismo), madre di due figli e separata dal marito Antonio (Valerio Mastandrea), sofferente di disturbi psicologici e non ancora rassegnato alla separazione con la moglie. A questa infelice situazione familiare è collegata la famiglia dell’onorevole Fioravanti, di cui Antonio è guardia del corpo, e di suo figlio Aris orfano di madre morta suicida, giusto per non farci mancare nulla.

I destini si incrociano, è vero, ma male. Come possono i figli della guardia del corpo andare nella stessa scuola dei figli dell’onorevole? Come può una madre, dipinta come affettuosa e premurosa, venire stuprata dall’ex marito la mattina, trascorrere il resto della giornata con la professoressa della figlia e permettere che quello stesso pomeriggio i bambini si trovino in compagnia del padre senza che lei muova un solo dito? Infine, come può uno squilibrato essere guardia del corpo e dunque tenere una pistola?

Ma non è solo questo quello che non va: Ozpetek non voleva i cliché legati ai film precedenti. Evita i personaggi gay ma, non potendo fare a meno di parlarne, l’unico riferimento riguarda la storia di un camionista con un ballerino. O ancora  la Ferrari: donna che tenta di ringiovanirsi per trovare un altro marito ed è causa di disagio per la figlia adolescente. Infine, per completare l’apologia del luogo comune, la storia tra il figlio dell’onorevole e la sua matrigna. E sempre per lasciarsi alle spalle il passato e i suoi innumerevoli cliché, ecco la lista degli attori feticcio, utili a ricordarci che il film è di Ozpetek perché nel corso della trama ce lo siamo dimenticato: Serra Ylmaz, Milena Vukotic, Ivan Bacchi e Rosaria De Cicco.

Anche l’analisi e l’introspezione dei sentimenti, in cui Ozpetek si è più volte dimostrato maestro, non riescono a coinvolgere o a dare un taglio particolare ai personaggi. L’amicizia tra Emma e la professoressa stenta a decollare nonostante nelle migliori intenzioni del regista ci fosse la voglia di dare un barlume di speranza al personaggio che va verso la catastrofe. L’unico punto da approfondire, il più realista, è la casualità con cui l’infermiera (Angela Finocchiaro) si ritrova a soccorrere la bambina, poche ore dopo averla incrociata nel bar col padre. Ma è una scena di pochi secondi, neutralizzata da uno sguardo lungo, intenso e tragicamente fine a sé stesso tra la stessa infermiera e il poliziotto, che lascia interdetto lo spettatore incapace di trovare il nesso tra i due.

Se fare una regia significa creare un mondo, cioè un sistema coerente dentro cui si muovono dei personaggi, Ozpetek non dà allo spettatore la possibilità di inserirsi e di farne parte: è tutto troppo artefatto, troppo statico, finanche scontato.

E poco può l’interpretazione davvero eccezionale di Valerio Mastandrea e di Stefania Sandrelli. Quest’ultima è il ricordo di un cinema italiano d’antan, troppo perfetta per il giorno “imperfetto” dell’ opaco regista.

Lucia Occhipinti

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