Il falso mito dell’ingovernabilità: è tempo di difendere la democrazia

I mercati finanziari e i mass media asserviti alla dittatura del potere economico stanno disperatamente tentando di commissariare definitivamente l’Italia seminando il terrore dell’instabilità politica. Quello che circola in queste ore in determinati ambienti politici e istituzionali, in alcuni settori mediatici e nei soliti circoli più o meno invisibili dei clubs, delle logge e delle confraternite di ogni ordine e grado è il falso mito dell’ingovernabilità con il quale si vuole delegittimare il libero voto degli italiani. E’ necessario che gli elettori vigilino sul mandato che hanno attribuito alle forze politiche con il proprio voto. Di più: è necessario che il popolo si prepari a difendere la propria sovranità nel nome della Costituzione e dello Statuto siciliano che la correda. Non bisogna dimenticare che il titolare della sovranità, in questo Paese, è il popolo e che il Presidente della Repubblica e il Parlamento esercitano la sovranità in nome e per conto del popolo.

Con il voto del 24 e 25 febbraio il popolo italiano ha deciso da chi vuole essere governato in questo momento particolare della sua storia: dal Movimento Cinque Stelle e dal Partito Democratico. Queste due forze politiche non possono e non devono sottrarsi alla volontà popolare, non devono tradire il mandato popolare. E’ già accaduto altre volte che il mandato popolare sia stato tradito dalle forze politiche o dalle istituzioni. E’ già accaduto altre volte che il popolo italiano, dimostrando una maturità politica adeguata alle sfide del tempo, abbia intercettato le nuove energie politiche sprigionate dalla storia e l’ansia di trasformazione rivoluzionaria e riformista di partiti e movimenti dando ad essi fiducia. Il mancato rispetto delle decisioni del popolo, in quelle occasioni, provocò l’affermazione di soluzioni che limitarono e condizionarono l’autonomia degli italiani.
Nelle elezioni del novembre 1919, le prime in Italia col sistema proporzionale e con il suffragio universale maschile, gli italiani indicarono la via da seguire votando in massa per il Partito Popolare di don Sturzo (cento seggi) e per il Partito Socialista Italiano (centoventi seggi). Con quel voto gli italiani chiesero uno Stato popolare, una democrazia politica, una democrazia economica; chiesero una rivoluzione riformista politica e sociale; chiesero alle forze popolari di costruire una nuova Italia. Ma la politica si arenò. Ppi e Psi non riuscirono ad incontrarsi. Chiamati a risolvere la crisi dello Stato liberale, non ebbero la forza di trovare una strategia comune che trionfasse sui tatticismi inconcludenti. Ritornò Giolitti e calò il dramma del biennio nero. La crisi del liberalismo fu poi risolta dal fascismo con tutte le conseguenze che ciò comportò.
Le elezioni amministrative che si svolsero nella primavera del 1946 segnarono il trionfo dei tre partiti di massa: la Dc, il Psiup e il Pci; quel voto indicò la scelta degli italiani per una politica di collaborazione fra i tre grandi partiti popolari; con quel voto gli italiani avevano scelto un governo, avevano scelto una politica, avevano scelto un modello di sviluppo economico e sociale adeguati alle necessità di un paese che aveva bisogno di costruire ancora una volta non soltanto una democrazia politica ma anche una democrazia economica. Il 2 giugno 1946 gli italiani confermarono quella scelta e premiarono insieme alla repubblica i tre grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana con 8 milioni di voti, il Partito Comunista Italiano con 4.300.000 voti e il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria con 4.700.000 voti. Il significato politico di quel voto fu chiaro: vinsero le forze popolari che rappresentavano interessi generali, persero i partiti che rappresentavano interessi particolari. Gli italiani accordarono la fiducia ai due partiti della sinistra, che rappresentavano il mondo del lavoro, e al partito centrista, che si definiva interclassista e solidarista. Sostenendo la sinistra rivoluzionaria e il centro riformista, gli italiani auspicarono una collaborazione tra classe operaia e ceti medi che potesse realizzare una “rivoluzione riformista”, dai contenuti fortemente sociali ma ispirata ai principi della democrazia, della solidarietà e del bene comune; la Costituzione nacque da quel voto, confermato dalle prime elezioni regionali siciliane dell’aprile 1947. Cedendo alle pressioni del blocco politico-economico cementato dalla superpotenza americana, la Dc ruppe quell’alleanza sancita dal voto popolare e consegnò l’Italia alle rapaci fauci degli interessi statunitensi: il prezzo pagato fu il tradimento della Costituzione rimasta inapplicata, il tradimento dello Statuto rimasto lettera morta, l’economia drogata del boom economico, i missili cruise e il Muos in Sicilia.
Oggi gli italiani hanno chiesto a Grillo e Bersani di governare il Paese. Il voto al movimento grillino non è un voto di protesta ma un voto alle proposte presentate dal M5S. A ben vedere, il nucleo centrale di queste proposte si ispira ai principi sociali della Carta Costituzionale: la solidarietà con il reddito minimo garantito, la giustizia sociale con la redistribuzione della ricchezza e dei tributi, la qualità della vita con la tutela dell’ambiente e del paesaggio, l’economia al servizio dell’uomo con il ritorno delle piccole imprese artigianali contro l’industrialismo e con il recupero del risparmio sociale contro i profitti di borsa, l’onore delle istituzioni contro la corruzione pubblica e privata, la responsabilità dei poteri pubblici contro l’egoismo e gli interessi di casta. Il voto al Partito Democratico è il voto ad una sinistra che deve riscoprirsi autonomista, popolare, dalla parte del lavoro e non del capitale, comunitaria e non liberista, attenta alle esigenze dei territori e non agli interessi delle multinazionali.

Gli italiani hanno chiesto al Pd di cambiare non seguendo le ricette liberiste di Renzi (vedi primarie) ma seguendo la via della tradizione sociale per troppo tempo smarrita. Un primo risultato, in questo senso, è stato ottenuto. Bersani, infatti, ha detto chiaramente che è ormai finito il tempo della vecchia diplomazia politica che si accordava segretamente nei meandri oscuri delle stanze dei bottoni. Ha auspicato la formazione di un governo che nasca dalla discussione pubblica. Grillo e Bersani devono e possono discutere alla luce del sole avendo come base di partenza i principi sociali, civili, etici della Costituzione. Del resto, qualcosa del genere sta maturando in Sicilia con Crocetta e Cancellieri che decidono pubblicamente seguendo la via dello Statuto e dunque degli interessi siciliani. I quali non entrano in contrasto con gli interessi italiani se tutti insieme guardiamo al Mediterraneo e non più all’Atlantico. Perchè qui è la vera ragione del conflitto. Se l’Italia decide di adempiere al voto popolare diventerà punto di riferimento per tutti i paesi del Mediterraneo oggi in crisi, rappresenterà una via d’uscita per l’area mediterranea, un modello sociale e politico alternativo al sistema del capitalismo atlantico in cui convergono il nuovo pangermanesimo della Merkel ed il nuovo imperialismo finanziario delle multinazionali. Se vince la tesi dell’ingovernabilità trionferà la borghesia cafona ed egoista asservita alla razza padrona delle banche e delle multinazionali. E non è un caso che il voto berlusconiano abbia cannibalizzato ciò che restava della vecchia e pur dignitosa destra sociale, scomparsa per la prima volta dalla geografia politica e istituzionale o autoconfinatasi tra i volenterosi carnefici del gattopardismo montiano e berlusconiano. Grillo e Bersani non vanno lasciati soli. Il dialogo va incoraggiato. Il voto al Movimento Cinque Stelle, al Megafono in Sicilia, al Partito Democratico è il voto dei giovani e degli anziani, degli uomini e delle donne che appartengono al ceto medio e a quel che resta del proletariato.
Per difendere il voto del 24 e 25 febbraio, per difendere l’ansia della svolta rigeneratrice, questi uomini e queste donne, giovani e anziani, devono convincere Grillo e Bersani a sedersi attorno ad un tavolo con Rosario Crocetta e con il testo della Costituzione e dello Statuto siciliano aperti: l’applicazione integrale delle due Carte sarà la base di partenza del programma di combattimento, una nuova Repubblica veramente federale e sociale e libera dai conflitti d’interesse d’ogni tipo sarà il fine. La dittatura del denaro non è inamovibile, e non solo perchè c’e sempre un limite in tutte le cose. Un movimento, una frattura, una rivoluzione che riporti la politica nel campo dell’azione sottraendola al potere economico è possibile. Un ritorno agli affetti ed ai valori veri contro una società fatua ed escludente è possibile. Un ritorno ai legami sociali e alle identità collettive è possibile. Come scrive Hanna Arendt, basta saper cogliere l’attimo fuggente del “miracolo” che nel campo della storia può sempre “accadere” giacchè a realizzarlo sono degli uomini che, per avere ricevuto il duplice dono della libertà e dell’azione, possono fondare una loro realtà. E’ tempo di mobilitarsi nella rete e nelle piazze contro la menzogna dell’ingovernabilità e per la vera democrazia. O la rivoluzione di febbraio continua oppure sarà il caos.

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Michelangelo Ingrassia

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