“Il falso è vecchio quanto è vecchia la moneta”. È quanto si legge davanti a una teca dedicata alle monete antiche, in esposizione al Refettorio del Convento di San Francesco d’Assisi in Via Crociferi (sala Koiné), per la mostra “Il vero e il falso, 2500 anni di storia del falso monetale” allestita dalla Guardia di Finanza di Catania. Una mostra che, fino al 23 dicembre, consentirà di ammirare i prodotti dell’astuzia di falsari di tutte le epoche, dalle monete dell’antica Grecia alle attuali carte di credito.
Sono del V sec. a.C. sono le prime monete greche messe in esposizione, tra cui anche la pregiata tetradracma ateniense. E qui si può capire perché, all’epoca, la falsificazione adottasse tecniche diverse dalle attuali. Il valore della moneta antica era infatti legato al materiale utilizzato: dunque la falsificazione consisteva essenzialmente nell’impiego di materiali meno nobili. Così troviamo una tetradracma autentica in argento affiancata da una in rame astutamente placcata d’argento. Stessa cosa vale per i denari romani, originariamente in argento ma falsificati legando bronzo e stagno.
Continuando il percorso ci imbattiamo in falsi di tarì e augustali dell’epoca di Federico II (1197-1250) e in fiorini di Firenze falsificati da Maestro Adamo, citato anche da Dante nella Divina Commedia, che pagò con il rogo il suo vizio (1281). Fino ad arrivare alla sezione dedicata allo scandalo finanziario della Banca Romana, per il quale non si può parlare di vero e proprio falso: per far fronte alla crisi post-unitaria, insufficienti dovettero sembrare i 60 milioni di lire autorizzati per la coniazione; 113 milioni sembrò una cifra più consona, cifra raggiunta mediante l’espediente della “serie doppia”.
La teca dedicata alle lire, inevitabilmente fonte di nostalgici ricordi, è una delle più formidabili per quanto concerne la qualità dei falsi. Dalle prime lire di fine Ottocento emesse dalla neonata Banca d’Italia in biglietti nei tagli da 50, 100, 500 e 1.000 lire a quelle definitivamente sostituite nel 2002 dall’euro, è quasi impossibile trovare tra il vero e falso differenze alle quali appigliarsi. Inoltre, salta subito all’occhio la raffinatezza della fattura monetale italiana, l’accuratezza nella scelta dei soggetti, dei colori, dei dettagli. Piccole opere d’arte, legali o illegali che siano.
E poi gli euro, cui a dire il vero non tutti sono ancora affezionati. Decine i servizi in tv che periodicamente ci spiegano i trucchi per scongiurare le truffe: tutto inutile. Minuziosissimi e in continua evoluzione sono gli accorgimenti messi in atto dai falsari professionisti: filigrana, striscia olografica, ogni cosa è riproducibile attraverso passaggi che vanno dalla scelta della carta alla stesura dei diversi strati di colore e all’inserimento dei piccoli dettagli come il numero di serie.
Nel corso della storia del falso monetale mutano le tecniche di produzione ma anche gli obiettivi perseguiti: si va dal semplice arricchimento personale alla volontà di destabilizzare il sistema fino addirittura al tentativo di distruggere l’economia di altri Stati (ne è un esempio la contraffazione delle sterline per mano dei nazisti durante la Seconda Guerra mondiale).
Più nobile sembra invece lo scopo di Paolo Ciulla, il leggendario falsario di Caltagirone, al quale è dedicata una sezione a parte all’interno della mostra. Figura eccentrica e affascinante, una sorta di dandy della Sicilia pre-fascista, era amante dell’arte e artista egli stesso. Inizialmente protagonista della vita politica della sua città, legato al Partito Socialista, venne in seguito allontanato dall’opposizione conservatrice, a causa dei suoi amori omosessuali che destarono scandalo nel calatino. Nel 1910 lo troviamo a Parigi, a chiacchierare nei caffè di Montmatre con gli esponenti di spicco dell’arte coeva come Modigliani e Picasso.
Ma è a Catania che inizia la sua attività da artista-falsario: “Una pioggia di benefiche e anonime banconote da 500 lire entrò tra la primavera del 1920 e l’autunno del 1922 nelle case di molti bisognosi di Catania e della provincia… Si posarono su tram carrozze treni carretti piroscafi, percorrendo, nelle consapevoli mani di spacciatori e in quelle inconsapevoli di commercianti ed emigranti, il vecchio e il nuovo mondo. Nessuno ebbe mai il sospetto che fossero false” racconta Maria Attanasio nel suo libro “Il falsario di Caltagirone”, dedicato appunto alla vicenda di Ciulla.
L’avventura di Ciulla si conclude con l’arresto nel 1922. Proprio la sua qualità migliore, la solidarietà, divenne per lui una trappola: il suo covo fu scoperto dopo che egli ebbe recapitato pacchi di “soddi fausi”, meravigliose banconote (più belle di quelle emesse dalla Banca d’Italia, si narra) alle famiglie indigenti di Catania.
L’ultima sezione della mostra è chiamata “la stanza del falsario” e contiene gli strumenti del mestiere – autentici, questi – sequestrati durante un’operazione della Guardia di Finanza che ha avuto luogo nel 2008 a Pomezia, nei pressi di Roma: un “laboratorio” di dollari falsi da fare un baffo al mitico deposito di Paperon de Paperoni. Tempestivo il blitz delle Forze dell’Ordine: i dollari falsi non erano stati tagliati e quindi non erano ancora immessi in commercio. Con lo scopo di corrompere i funzionari di alcuni Stati africani, i falsari avevano messo su un’officina segreta, mascherata da semplice azienda agricola immersa nella campagna laziale. Essa offriva al suo interno costosissimi inchiostri e qualsivoglia macchinario per la creazione ex novo delle banconote americane, partendo dal cotone puro.
“L’organizzazione di questa particolare mostra è stata resa possibile dalla Banca d’Italia, l’unica nel mondo occidentale a conservare gli esemplari di denaro falso, e dalla collaborazione di musei del settore di Lazio, Umbria e Toscana e di collezionisti privati” spiega il Tenente Mauro Favetta. “Il vero e il falso” è una mostra completa ed estremamente interessante: presenta il falso come un fenomeno da combattere per la tutela degli equilibri economici ma anche come il risultato di un’arte collaterale, rocambolesca e, a volte, romantica.
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