Il declino italiano atto II/ Cosa fare per uscire dalla crisi. Le tesi di Nino Galloni

RIACQUISTARE LA SOVRANITA’ MONETARIA, LIBERARSI DAI CONDIZIONAMENTI DEL CLUB DI BILDERBERG, DEI BRITANNIA E DEGLI ILLUMINATI DI BAVIERA. PUNTARE SUL MERCATO CINESE, DISPONIBILE VERSO I PRODOTTI DELLA MADE IN ITALY. E SULLA GREEN ECONOMY. E LIBERARSI, SOPRATTUTTO, DEL LIBERISMO DELLA SIGNORA MERKEL

La ricostruzione delle ragioni che hanno determinato la crisi profonda, strutturale, del nostro Paese delle quali il professore Nino Galloni da testimonianza dell’intervista resa a “Libre associazione di idee” continua con l’elencazione delle ragioni interne che hanno assecondato (forse è meglio dire che si sono accodate) a quelle provenienti da oltre Atlantico e dall’Europa, delle quali abbiamo riferito nella prima puntata.
Infatti al piano anti-italiano trova immediata l’adesione della Fiat. L’industria automobilistica piemontese smette d’investire nelle attività produttive e comincia a comprare titoli di Stato, inserendosi decisamente nel mercato finanziario. Compra titoli di Stato quando la Banca d’Italia non ne acquista più. Questo mentre i tassi di interesse sono via via saliti e la finanza pubblica diventa un grande affare privato.
Da quel momento – riferisce Galloni – si assistette al graduale abbandono delle attività produttive per il più redditizio impiego della finanza d’impresa nell’acquisto di titoli di Stato.
“Ricordo – prosegue Galloni – che negli anni ‘0 feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi pubblici più importanti ed altrettanti gruppi privati facevano la stessa politica: investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive, ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che questi rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più e con minori rischi facendo investimenti finanziari invece che investimenti industriali. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione”.

Tuttavia, ancora all’inizio degli anni ’90 l’Italia, promossa nel club del G7, gode di una posizione primaria nella produzione industriale e manifatturiera. Occorreva soltanto riprendere alcuni investimenti pubblici e sarebbe stata ancora protagonista nella competizione internazionale. Invece, le strategie economiche furono orientate in senso opposto, avviando le grandi privatizzazioni. Si è proceduto scioccamente allo smantellamento del sistema industriale pubblico, tanto temuto da francesi e tedeschi. Lo smantellamento dell’Iri ha significato la sostanziale perdita di Finsider, Italstat, Telecom, solo per ricordare alcune delle realtà industriali più significative del nostro Paese, nonché le banche: il Credito italiano e la Banca Commerciale Italiana. Queste ultime, passate in mani private, in coincidenza della fine della Glass-Steagall Act.
La Glass-Steagall Act altro non era che la legge bancaria del 1933, approvata dal Congresso degli Stati Uniti d’America all’indomani della crisi del 1929, su iniziativa del senatore Carter Glass e del deputato Henry B. Steagall. Lo scopo era di mettere sotto controllo le speculazioni operate dagli intermediari finanziari. In pratica, questa legge aveva istituito un fondo, il Federal Deposit Insurance Corporation, per garantire i depositi dei risparmiatori, e aveva fissato la separazione tra banche di tipo tradizionale, che erogano crediti e quelle d’investimento, cioè quelle che partecipano al capitale di rischio delle imprese. Allo scopo che, in caso di fallimento di una banca di investimento, i risparmiatori non ne subissero le conseguenze.
La sua fine di quest’esperienza è andata in scena nel 1999. Protagonista: il Congresso degli Stati Uniti, questa volta a maggioranza repubblicana, il quale, su proposta del deputato Jim Leach e del senatore Phil Gramm ha abrogato la legge anti speculazione finanziaria.

Solo per ricordare una vicenda recente della quale paghiamo ancora le conseguenze: con la fine della Glass-Steagall Act abbiamo assistito al dilagare dei titoli tossici prodotti della ‘finanza creativa’. Questa speculazione finanziaria era fondata su titoli senza copertura, basati sulla ‘fiducia’ e su null’altro. I valori persi dalle banche con questi giochetti superavano le somme che l’economia reale – le famiglie (risparmi), le imprese (conti correnti) e riciclaggi vari (mafie e corruzione) – non riusciva a mettere nel sistema bancario.
“Per rimediare a questo disastro – spiega Galloni – la Fed ha immesso dal 2008 al 2011 ben 17 miliardi di dollari, più del Pil e del debito pubblico americano”.

Sulla stessa linea si è mosso Mario Draghi mediante l’adozione del quantitative easing, cioè assicurare liquidità alle banche allo scopo di aumentare l’offerta di moneta nel sistema economico e non agli Stati per assorbire parte del loro debito pubblico. Il meccanismo tecnico vede l’acquisto di moneta a tassi minimi che non possono subire altre diminuzioni per favorire il credito alle imprese e stimolare la ripresa economica.
Purtroppo, però, questa misura nei fatti non favorisce la ripresa economica, perché chi sta ai vertici delle banche guadagna sulle perdite dovute al numero delle operazioni finanziarie speculative.
“Questa gente si porta a casa 50-60 milioni di dollari o di euro, scompare nei paradisi fiscali e le banche possono andare pure a ramengo”: questa la dichiarazione del professore Galloni a proposito dell’uso bancario delle agevolazioni della Bce di Mario Draghi. Un esempio classico è la vicenda del Monte dei Paschi di Siena.

Le banche da parte loro non possono fallire, perché le banche centrali, a loro volta controllate dalle banche canaglia, le riforniscono di nuova liquidità ed in definitiva ci paga il conto finale è la gente comune e le imprese, in termini più generali: il sistema Italia.

Questo scenario si è via via sviluppato fin dal 1981, da quando si è operata la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia accompagnata, poi, dall’ingresso nella zona euro. Operazione che ha tolto allo Stato non solo il controllo sulla moneta, ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso vincoli e condizionamenti del tipo Fiscal Compact e pareggio di bilancio.

L’intervento del professore Galloni si conclude con uno sfogo amaro seguito da proposte di strategia economica, che, purtroppo, difficilmente la politica italiana sarà capace di di seguire, suddita com’è delle potenze ‘altre’ che, da sempre, ne condizionano gli orientamenti e le scelte: gli accordi atlantici, da una parte, che non sono soltanto militari, e le massonerie europee, dall’altra, che ne determinano le opzioni di fondo.

Lo sfogo riguarda l’adesione alla stupida strategia europea di ‘lacrime e sangue’, secondo la quale il risanamento viene prima dello sviluppo. “Questa strada si sa che è impossibile perché non si può raggiungere il pareggio di bilancio e perseguire obiettivi più ambiziosi se non c’è la ripresa”.
In fase di recessione questa scelta è suicida, porta alla depressione irreversibile. La scelta giusta va nella direzione di abbandonare le indicazioni che vengono dai liberisti di stampo Angela Merkel e Mario Monti, invertendo la strategia presente in Europa e tornare alla sovranità monetaria. E sul debito pubblico Galloni dice: “Va cancellato come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale che vale 10 volte più del Pil. La strada da scegliere è quella di ridurre i tassi d’interesse al di sotto dei tassi di crescita. Questo è il modo sano di ridurre il debito”.

La strategia europea prevalente abbiamo visto dove porta: in Grecia, a fronte “di 300 miliardi di euro di debito si sono persi 3 mila miliardi di euro nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco. Chi attualmente comanda in Europa vuole annullare la sovranità degli Stati nazionali per affermarne uno sovranazionale.
“L’Europa è sotto ricatto delle lobby mondiali: il Club di Bilderberg, i Britannia, gli Illuminati di Baviera ed altri ancora. Questi sono agenti veri che determinano le strategie mondiali”. E ancora: “Negli Stati Uniti d’America – prosegue Galloni – c’era la Confraternita dei Teschi di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Usa: è chiaro che questa gente risponde ai gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa”.

Sul versante delle prospettiva il professore Galloni indica nel mercato cinese la sede dove il made in Italy d’eccellenza può avere grande successo, specialmente ora che in quel Paese si è scelto di favorire i consumi interni rispetto alla esportazioni. “Penso alla greeen economy e alla trasformazione dei rifiuti di cui Ansaldo e Italgas posseggono brevetti di rilevanza mondiale”.
Ma prima, avverte sempre Galloni, “occorre mandare a casa i sicari d’Italia, da Monti alla Merkel, e rivoluzionare l’Europa tornando alla sovranità monetaria”.

Nota a margine

Una sola nota di commento. L’abbandono dell’euro sta diventando un coro cantato all’unisono da osservatori, analisti, studiosi e commentatori. Che sia questa la ricetta giusta per la ripresa dello sviluppo?

 

Riccardo Gueci

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