Il consiglio comunale dice sì alle unioni civili La maggioranza divisa regge. Festa Arcigay

Ci sono volute cinque ore di seduta, ma alla fine il consiglio comunale di Catania approva il registro delle unioni civili. Su 34 presenti, sono 23 i voti favorevoli, 10 gli astenuti, uno contrario. Catania, quindi, si unisce alle circa 150 città italiane che riconoscono le coppie di fatto, etero ed omosessuali, concedendo loro determinati diritti: accedere ai contributi per l’affitto dell’alloggio, entrare in graduatoria per le assegnazioni delle case popolari ed avere notizie del/la partner ricoverato/a in ospedale. Fanno festa nella sala consiliare i rappresentanti delle associazioni riunite nel Comitato per i diritti civili che srotolano una grande bandiera rainbow. «Siamo felici perché è una grande vittoria, è la Catania civile che vince», commenta Alessandro Motta, presidente dell’Arcigay etnea, che adesso si dice «pronta a collaborare con l’amministrazione per gli sviluppi tecnici». Mentre dall’altra parte della stanza, il neonato Comitato per la famiglia lancia grida di disappunto. La delibera ha scatenato un acceso dibattito nelle settimane che hanno preceduto il voto, così come durante le dichiarazioni di voto dei consiglieri. Molti quelli assenti, mentre tra i dieci astenuti ci sono anche rappresentati della maggioranza. Solo un consigliere di opposizione ha invece votato sì, si tratta di Agatino Tringale.

Il provvedimento, presentato direttamente dal sindaco Enzo Bianco e dal vicesindaco Marco Consoli, ha diviso la maggioranza. Chi si è astenuto lo ha fatto sostanzialmente per tre motivi: invocando libertà di coscienza; sottolineando il carattere troppo generico del regolamento che, come ha sottolineato Agatino Lanzafame, «invece di costruire diritti esigibili, genera aspettative o sogni infranti»; e ricordando che spetterebbe al governo nazionale legiferare in materia. Una parte dell’opposizione ha aggiunto una motivazione di carattere politico: «A un problema sociale è stato dato un chiaro connotato partitico e alcune forze vorrebbero vendersi l’ottenimento di questo registro». Così ha motivato la sua astensione il consigliere Vincenzo Parisi.

All’inizio della seduta il sindaco, in un breve intervento, pone l’attenzione su un dato: «Quasi 200 città italiane, con maggioranze politiche diverse, hanno adottato un regolamento sulle unioni civili. La prima fu Empoli nel 1993». Quindi, anticipando le critiche di molti consiglieri, sottolinea che «la delibera non deve essere caricata di significati impropri». «Si tratta di un principio di civiltà riconosciuto in maniera serena dal Parlamento europeo – aggiunge -. Le scelte che il legislatore nazionale farà sul matrimonio appartengono ad una dimensione di carattere generale, qui stiamo parlando d’altro». Numeri su cui l’opposizione torna successivamente. «Facciamo parte del 74 per cento dei comuni italiani che non ha adottato il regolamento, ci sarà un motivo», spiega Manlio Messina, di Forza Italia.

Alcuni consiglieri sono assenti. Ma ad astenersi sono anche alcuni della maggioranza. Lanfranco Zappalà, del Pd, dichiara la sua iniziale astensione, sottolineando come nel regolamento votato dall’assemblea, a differenza della delibera, non è esplicitato il riferimento alle coppie omosessuali. Mancanza che viene colmata da un emendamento, presentato dallo stesso Zappalà, ma condiviso anche dal consigliere di Forza Italia Manlio Messina, e fatto proprio dall’amministrazione. Elemento che spinge Zappalà, alla fine, a votare favorevolmente tra gli applausi della maggioranza. Un cambiamento decisivo. Trattandosi di un regolamento, serviva infatti la maggioranza assoluta del consiglio, cioè 23 voti, esattamente la soglia raggiunta. Ma la critica resta. «Quali diritti stiamo dando con questo atto?», sottolinea il consigliere del Pd. Domanda richiamata anche da altri esponenti della maggioranza. «Se si fossero previsti i casi specifici, sarebbe stato più facile anche individuare le risorse necessarie a dare effettività alla delibera», afferma Ersilia Severino, del Megafono. A rispondere è il vicesindaco e collega di partito Marco Consoli: «La copertura finanziaria è molto importante – sottolinea – perché si amplierà la fascia dei soggetti che potranno giustamente usufruire dei servizi. Bisognerà quindi intevenire in fase di approvazione del bilancio di previsione».

Un altro esponente del Megafono, Daniele Bottino, che aveva esplicitamente abbracciato le posizioni contrarie delle comunità evangeliche, è assente. Così come Antonino Vullo, del Pd, che aveva annunciato pubblicamente un voto positivo. «Nelle 150 città dove sono stati istituiti i registri delle unioni civili, gli iscritti, circa 2mila, diminuiscono di anno in anno – spiega Sebastiano Arcidiacono, di Articolo 4, che si è astenuto – segno che lo strumento, in assenza di una legge nazionale, risulta inefficace, una semplice enumerazione di principi. Un diritto che non produce effetti semplicemente non esiste». Pezzi di maggioranza che fanno un passo indietro. Ma alla fine l’appello del sindaco Bianco e del vicesindaco Consoli, che ricordano come il registro faccia parte del programma elettorale, viene ascoltato. Anche Catania ha il suo registro delle unioni civili.

Salvo Catalano

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