Il Comune vende quote Sidra ai privati Forum dell’Acqua in piazza per protestare

Acqua, trasporti, gas e parcheggi. Il Comune di Catania si appresta a vendere parte delle quote di importanti servizi pubblici, in nome delle due parole più usate del momento: spending review. Il piano di dismissione è stato approvato dalla giunta guidata dal sindaco Raffaele Stancanelli e a breve verrà sottoposto al giudizio del consiglio comunale. Per giustificare la cura dimagrante, da Palazzo degli Elefanti hanno più volte fatto riferimento alle norme sulla revisione della spesa approvate recentemente dal Parlamento e alle delibere della Corte dei Conti.

«Sfatiamo subito uno slogan ricorrente: la legge al momento non impone nessuna vendita delle società partecipate». Roberto Cellini, docente di Economia politica all’università di Catania, prova a fare chiarezza nella giungla giuridica che si è venuta a creare in materia di privatizzazione dei servizi pubblici tra decreti legge degli ultimi due governi (Monti e Berlusconi), referendum abrogativi e sentenze della Corte Costituzionale. «Il decreto Fitto del 2009 (governo Berlusconi ndr) – spiega Cellini – imponeva la dismissione di almeno il 40 per cento delle quote pubbliche nelle società comunali partecipate. Il referendum del 2011 ha abrogato questo obbligo per quanto riguarda i servizi idrici. Nell’agosto del 2011, il governo Berlusconi ha riproposto lo stesso decreto, eliminando la parte relativa alle società che gestiscono l’acqua. Ma qualche settimana fa una sentenza della Corte Costituzionale, sollecitata dal ricorso di alcune regioni come Puglia ed Emilia Romagna, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il decreto».

Eccoci dunque alla situazione attuale in cui si appresta ad operare il Comune di Catania. Un caos giuridico in cui è stato dichiarato incostituzionale l’obbligo di vendere le partecipate che gestiscono servizi pubblici. Ma allo stesso tempo nulla vieta ai Comuni di farlo. «È sbagliato richiamare un obbligo di legge – sottolinea Cellini – Tuttavia l’amministrazione ha la facoltà per agire». Ma cosa prevede il piano di dismissioni varato dalla giunta Stancanelli?

La proposta include la cessione del 40 per cento dell’Amt (Azienda metropolitana trasporti) e di Sostare, che ha in gestione gli stalli per il parcheggio a pagamento. Verrà messo in vendita il 49 per cento del pacchetto azionario di Asec Spa, a cui spetta la distribuzione del gas, e della Sidra, che si occupa delle risorse idriche. Mentre il Comune si potrebbe liberare definitivamente di Asec Trade (vendita del gas) e Catania Multiservizi, la società-carrozzone che dovrebbe svolgere pubblici servizi di interesse municipale. Oltre a queste, verrebbero cedute integralmente le quote di una serie di consorzi: Espropri Territoriali, Sicilia al passo, la cui ragione sociale sarebbe la promozione di una non meglio precisata lotteria nazionale del podismo, Servizi Idrici Etnei, Mercati Agroalimentari di Sicilia e Società degli interporti siciliani. «Il piano – si legge nel comunicato del Comune – prevede il mantenimento in tutto o in parte solo delle quote azionarie dei servizi di interesse generale strettamente necessari per il perseguimento delle finalità istituzionali e di cui viene riconosciuto il vantaggio a mantenere strategicamente la partecipazione alla gestione». Le società strategiche da salvaguardare sono Acoset (partecipazione del 4,1 per cento), il Consorzio Ato2 Catania Acque (26,1 per cento) e il Consorzio autostrade siciliane (1,4 per cento).

L’annuncio del piano ha suscitato la reazione del forum catanese Acqua Bene Comune che si era battuto per il referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua. Stamani gli attivisti saranno in piazza Duomo a partire dalle 11.30. «Se non siete in grado di governare con efficienza dimettetevi! Non svendete il patrimonio di tutti noi!», è il loro slogan. Ma oltre all’opportunità di privatizzare servizi strategici per i cittadini, rimangono molti dubbi legati alle dismissioni. Chi sono i soggetti potenzialmente interessati ad acquistare le quote del Comune? Come verrebbero usati i soldi ricavati dalle vendite? E che fine faranno i circa 1500 lavoratori di queste partecipate?

«Le leggi del governo Berlusconi – spiega Cellini – imponevano che la cessione dei servizi avvenisse ad un socio operativo, una società con esperienza nel settore. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo anche questo aspetto, facendo decadere l’obbligo. Il rischio è che l’acquirente sia una finanziaria, senza esperienza e senza alcun reale interesse nello svolgere il servizio». Su questo aspetto, tuttavia, l’assessore al Bilancio, Roberto Bonaccorsi rassicura: «La vendita avverrà con un bando di evidenza pubblica, e l’acquirente dovrà essere un socio operativo che attivi il servizio. Sono esclusi soggetti di natura finanziaria». Mentre per quanto riguarda i dipendenti, Bonaccorsi promette «la salvaguardia totale dei posti di lavoro». Una soluzione che, secondo il docente dell’ateneo catanese, è facilmente percorribile nel caso in cui i lavoratori abbiano un contratto con la società, ma diventa più complicata se la loro posizione è subordinata direttamente al Comune. «Non è detto che chi vince un concorso pubblico possa rimanere automaticamente in una società privata», precisa Cellini. Resta infine da capire a cosa verranno destinati i fondi che il Comune ricaverà dalla vendita. «Si tratta di entrate patrimoniali – spiega il docente – quindi sarebbe molto grave se venissero usate per pagare gli stipendi o per le spese correnti, come purtroppo da noi è abitudine fare. Piuttosto dovrebbero servire per ridurre il debito».

Oggi a Catania gli autobus ritardano, la gestione dell’acqua è in perdita e perfino la distribuzione del gas, altrove fonte di ricchezza, è una voce di bilancio negativa. Può una gestione manageriale migliorare questo quadro, salvaguardando allo stesso tempo l’interesse di tutti i cittadini? «Di fatto – conclude Cellini – la situazione di queste società è arrivata ad un livello per cui il pubblico non riesce più a procedere ad una riorganizzazione. Per questo si dà spazio al privato, la cui azione però non deve essere lasciata libera, ma regolata da precisi paletti ed obblighi». Principio che il Comune promette di rispettare. «L’ente pubblico – precisa Bonaccorsi – rimarrà socio di maggioranza nella maggior parte delle società. Ai privati verrà affidata la gestione operativa, ma il Comune continuerà a decidere».

[Foto di Amt Catania orari]

Salvo Catalano

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