Il commento di Lombardo dopo la sentenza «Un giudice onesto, ma non coraggioso»

«Sono tranquillo perché, a differenza dei miei avvocati e di altri che sono stupiti, io me l’aspettavo. Non credevo infatti che un giudice avesse il coraggio di decidere per l’assoluzione, che comunque sarebbe stata attinente ai fatti, e schierarsi contro la Procura e contro quelle grandi pressioni politiche con cui mi hanno attaccato». Sono queste le prime parole dell’ex governatore della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, subito dopo la lettura della sentenza da parte del giudice Marina Rizza che lo condanna a sei anni e otto mesi di reclusione, interdizione perpetua dai pubblici uffici e a un anno di libertà vigilata. Concorso esterno in associazione mafiosa è il reato di cui viene accusato in una vicenda processuale iniziata quasi quattro anni fa. Adesso assolto per il reato di  favoreggiamento al clan Cappello, ma non per quello al clan Santapaola, in cambio di voti alle elezioni.

«Il giudice (Rizza, ndr) ha dimostrato professionalità, onestà e imparzialità ma non coraggio – sostiene Lombardo – e questa sentenza è ingiusta. Io con questi reati non c’entro nulla». L’ex governatore della Sicilia si definisce innocente e deciso quindi a proseguire con un ricorso in appello dopo il deposito delle motivazioni che avverrà entro 90 giorni. Insieme ai suoi avvocati si dice sicuro che l’assoluzione per non avere commesso il fatto prima o poi arriverà. «Perché – sostiene Lombardo – quando scemerà la tensione del momento, con il passare del tempo, verrà fuori che i reati a me addebitati non solo sono ingiusti, ma anche ridicoli».

Ma a stupire i legali e l’ex governatore forse più della stessa condanna è la trasmissione degli atti alla procura di Catania da parte del giudice Rizza in merito a un’intercettazione registrata negli uffici dell’editore de La Sicilia Mario Ciancio Sanfilippo a proposito della richiesta di aiuto di quest’ultimo per la risoluzione di un problema burocratico ai fini della costruzione del centro commerciale Porte di Catania, che porta la firma della società milanese Icom srl. La stessa a cui Ciancio vende i terreni per 13 milioni di euro con un’unica clausola: la modifica della loro destinazione d’uso e le necessarie autorizzazioni per la costruzione del centro commerciale. Poi ottenute dal consiglio comunale di Catania e con il benestare proprio della Regione, scrive un altro giudice, Luigi Barone, che si occupa del caso. E che ha più volte sottolineato l’interesse del clan Santapaola nello stesso affare.

«Sono andato a quell’incontro ma, come dimostrano le intercettazioni, sono stato informato di un problema e ho solo detto “Vediamo” – racconta la sua versione Raffaele Lombardo – Mai abbiamo parlato di scambi di favori o cose del genere». «Non sappiamo neanche di quali reati è accusato per questa vicenda che oltretutto non ha caratterizzato i quattro anni del processo – afferma uno dei due avvocati difensori, Alessandro Benedetti – ma è uscita fuori solo nell’udienza dello scorso 15 gennaio. Rappresenta quindi una vicenda nella quale non ci siamo confrontati e questo rappresenta una stranezza di questo processo».

In attesa dell’appello, Lombardo pensa intanto alla trasparenza. Perché i cittadini sappiano cosa è stato detto durante il procedimento e quali sono i documenti presentati dalla Procura etnea per provare la sua colpevolezza, Raffaele Lombardo promette che riattiverà il suo blog dismesso all’indomani della fine del mandato da presidente regionale. «Pubblicherò tutte le testimonianze, le intercettazioni e i verbali così che la gente possa leggere da sé». Anche in considerazione del fatto che il procedimento si è svolto a porte chiuse. Richiesta fatta a suo tempo dallo stesso imputato «per consentire alla magistratura, in cui ho piena fiducia, di operare nella massima serenità».

I suoi legali invece, Alessandro Benedetti e Guido Ziccone, stupiti del tutto dalla sentenza e «solidariamente dispiaciuti», pensano già al secondo grado. Convinti che quella del giudice Rizza sia una decisione ribaltabile. «Questo reato (il concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) è una figura creata dalla giurisprudenza che ha dei confini molto elastici – spiega Ziccone – Una materia che quasi naturalmente subisce continua mutevolezza. Pensiamo di avere ragione e, siccome  il nostro compito è quello di difenderci con gli strumenti del diritto, lo faremo», conclude.

Di segno opposto le dichiarazioni dell’accusa, ruolo assunto nelle fasi finali del processo dalla più alta carica della procura etnea, il procuratore capo Giovanni Salvi: «Oggi è avvenuto un fatto storico. Si ha per la prima volta la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa per un presidente della Regione siciliana, frutto di un lavoro importante».

desireemiranda

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