Un castello del XIV secolo di oltre tremila metri quadrati, più un giardino esteso come un grande appartamento, affacciato sulla baia di Naxos, in riva a uno dei tratti di mare più famosi di Sicilia. Il castello di Schisò, di proprietà della famiglia Paladino ma oggi abbandonato, è al centro di una disputa con almeno tre attori e che è destinata a vivere nuove puntate: da una parte i privati proprietari del sito; dall’altra la Regione Sicilia che ha manifestato l’intenzione di acquisire l’edificio al patrimonio regionale, precisamente a quello del Parco archeologico di Naxos; in mezzo un altro privato, il Gruppo Chincherini, leader nel settore alberghiero (gestisce hotel di lusso sul lago di Garda e non solo), l’unico soggetto ad aver partecipato all’asta pubblica presentando un’offerta da 1,6 milioni di euro e aggidicandosi il prestigioso sito. Una titolarità che, con ogni probabilità però, durerà poco.
La Regione infatti intende esercitare il diritto di prelazione che la legge riconosce all’ente pubblico, pagando all’aggiudicatario, quindi al Gruppo Chincherini, la stessa somma con cui l’ha acquisito. L’assessore Vittorio Sgarbi – dopo aver annunciato prima dello svolgimento dell’asta l’intenzione della Regione di intervenire, scatenando la reazione della famiglia Paladino che si è sentita danneggiata – a inizio gennaio ha dichiarato di «aver già firmato la carta di prelazione». «Impossibile – replica Francesco Saccone, avvocato della famiglia Paladino – il diritto di prelazione si può esercitare solo dopo che verrà notificato il decreto di trasferimento del bene, che ancora non c’è. Siamo nella fase del deposito del verbale di aggiudicazione agli atti del processo. Poi dovrà essere notificato all’aggiudicatario che avrà 120 giorni di tempo per pagare». Finora infatti è stato depositato solo il 10 per cento della somma, circa 161mila euro.
Insomma, ancora vari passaggi di natura amministrativa e burocratica che potrebbero ulteriormente allungarsi perché la famiglia Paladino si oppone in sede giudiziaria. «Il punto non è a chi finirà il castello – precisa il legale catanese – i miei assistiti anzi preferirebbero di gran lunga che quella che è stata la loro casa finisca in mano pubblica, piuttosto che vederlo trasformato in un albergo. Perché nel primo caso potrebbero continuare a visitare il sito, tanto che in passato ci sono stati dei contatti con il parco archeologico». Il nodo della discordia, e non di poco conto, è il valore attribuito al bene dal perito del tribunale: cioè 2 milioni 152mila euro. Somma che è stata la base d’asta, ridotta poi del 25 per cento dall’unica offerta arrivata. «Un anno fa – precisa Saccone – una villa a pochi metri dal castello è stata venduta in una trattativa privata a 1,5 milioni. È grande 300 metri quadri, dieci volte meno del castello, pagato più o meno alla stessa cifra. È assurdo e paradossale».
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