Ikea, due randagi in salotto per il Natale Commessa: «Cercano un po’ di calore»

«Sono di peluche?». Se lo domandano grandi e piccini che alla vigilia di Natale, girovagando all’interno del centro commerciale Ikea di Catania, fermano lo sguardo su due cani appisolati sopra un tappeto in esposizione. La risposta è no: sono veri. «E sono pure buonissimi – spiega una commessa – Entrano nel negozio per cercare un po’ di caldo». E per i visitatori sono diventati un’attrazione.

Lo spazio espositivo in cui si trovano i cagnolini non è molto distante dall’ingresso: una tavola bianca, imbandita per le feste con tanti oggetti e dettagli di colore rosso, che poggia su un tappeto. Sopra di esso quattro quadrupedi: due col tagliando del prezzo fissato all’orecchio, altri due in carne e ossa. I visitatori, non molti alla vigilia di Natale, si fermano stupiti. Solo dopo alcuni secondi si rendono conto che si tratta di animali veri. «Sono randagi. Di solito vivono nel parcheggio del centro commerciale – dice un’addetta alle vendite – Ma da quando fa freddo hanno preso l’abitudine di entrare e riposare lì».La scena è diventata un’attrazione e sono tanti i clienti che scattano foto ricordo. 

Un cane è di colore nero, con le zampe e la pancia bianche: sta sdraiato accanto ai due peluche marroni. L’altro è color nocciola, col muso bianco: sonnecchia sotto la tavola preparata per il Natale. «Sono tranquillissimi – continua la commessa – e si fanno fotografare senza alcun problema». Nel 2012 alcuni dei cani che erano soliti sostare nel parcheggio del centro commerciale furono avvelenati. Due di loro morirono. L’episodio suscitò l’indignazione delle associazioni animaliste che si occupavano di quei randagi. La multinazionale svedese, tirata in ballo nella vicenda, affermò di «condannare fortemente la crudeltà contro gli animali» e di aver «sollecitato a più riprese l’’intervento di Comune, Provincia e Asl locali, ma – scrisse l’ufficio pubbliche relazioni in una nota per la stampa – non ci risulta che gli enti preposti abbiano affrontato o gestito la cosa». 

Marco Di Mauro

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