Weldu Romel, 27 anni, eritreo. È stata identificata una delle 368 vittime del naufragio di migranti del 3 ottobre 2013 a poche centinaia di metri dall’isola dei Conigli a Lampedusa. Il migrante PM 357 ha adesso un nome e un cognome. Le sue generalità saranno incise sulla lapide che, il prossimo 6 maggio, sarà posata nel cimitero monumentale di Caltagirone, in provincia di Catania. A renderlo noto sono stati il comitato 3 ottobre, il Sistema accoglienza integrazione e il Comune di Caltagirone spiegando che l’identificazione è stata possibile «grazie al prezioso lavoro dell’istituto Labanof dell’università di Milano e al commissario straordinario per le persone scomparse».
La salma di Weldu Romel, identificata col codice AM 16, è stata tumulata, nell’ottobre 2013, nel cimitero di Caltagirone. Alla cerimonia per la posa della lapide con incisi il suo nome e cognome, che si terrà lunedì alle 10.30, parteciperanno la prefetta di Catania Maria Carmela Librizzi, il sindaco di Caltagirone Fabio Roccuzzo, l’Imam di Catania Kheit Abdelhafid, il vicario generale della diocesi di Caltagirone monsignor Salvatore De Pasquale, il presidente del comitato 3 ottobre Tareke Brhane, la referente del progetto Sai di Caltagirone Angela Ascanio e Vito Fiorino, nominato Giusto per avere salvato 47 persone mentre si consumava la tragedia.
«Quel terribile naufragio del 3 ottobre 2013 resterà indelebilmente scolpito nella memoria di molti – dichiara il sindaco Roccuzzo – essere riusciti a restituire un’identità a una delle vittime, sepolta nel cimitero di Caltagirone, è un atto di grande civiltà e di profondo rispetto per chi ha perso il bene più prezioso, la vita, nel tentativo rivelatosi purtroppo vano, di coltivare il sogno di un’esistenza migliore». «La nostra battaglia è per dare un nome e una degna sepoltura alle vittime dei naufragi – sottolinea Tareke Brhane – negare questo diritto è contro ogni principio di umanità. Ogni persona ha diritto a una degna sepoltura così come i familiari hanno diritto di avere un luogo in cui ricordare e piangere i propri cari. Speriamo di poterlo fare per le centinaia di vittime senza nome che ancora oggi sono sepolte nei tanti cimiteri del nostro Paese».
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